Niente carcere per i sette indagati nell’ambito dell’inchiesta per truffa sulle energie rinnovabili finalizzate a ottenere incentivi statali, sebbene non dovuti. Lo ha stabilito il Tribunale del riesame che ha respinto l’appello proposto della Procura di Ravenna. Il Pm Monica Gargiulo, in particolare, chiedeva ai giudici bolognesi la misura detentiva, in luogo di quella meno afflittiva dell’interdizione dalle attività professionali, e la contestazione dell’associazione per delinquere. Negati da subito dal Gip di Ravenna, Corrado Schiaretti, queste due richieste sono state rigettate anche dal Riesame, che si è preso 45 giorni per motivare la decisione.
Al centro della vicenda ci sono la Dister Energia Spa di Faenza – centrale di produzione di energia elettrica a biomasse – e due ditte fornitrici, la Enerlegno di Forlì e la Recywood di Faenza. Gli indagati rispondono di truffa aggravata, dichiarazioni fraudolente e fatture false; il tutto per certificare che le biomasse legnose utilizzate per produrre energia provenivano dalla filiera corta, entro 70 chilometri dalla centrale (con contributi richiesti per 130mila tonnellate, anziché su 30mila tonnellate regolari), il che avrebbe consentito a Dister Energia di incassare 7,7 milioni di incentivi, illegittimi secondo l’accusa, inizialmente sequestrati dalla Finanza ma di cui sempre il Riesame aveva già accolto la richiesta di dissequestro della difesa Dister. Per sette di otto indagati permane, dunque, la misura cautelare del divieto di esercitare attività professionali, imprenditoriali o incarichi direttivi in imprese e persone giuridiche nel settore delle energie rinnovabili. La figura di spicco è quella di Mario Mazzotti, presidente della Dister ed ex sindaco di Bagnacavallo, ex consigliere regionale del Pd ed ex presidente di Legacoop Romagna, che al pari degli altri indagati agli interrogatori di garanzia ha negato gli addebiti.
Il Pm Gargiulo chiedeva al Riesame l’associazione per delinquere ritenendo che il Gip di Ravenna l’avesse "inspiegabilmente" negata. Ciò in ragione di una "valutazione erronea degli atti di indagine", laddove il Gip aveva ritenuto mancante "il di più necessario a configurare un vincolo permanente, organizzato e strutturato", mentre per il Pm i soggetti erano "coinvolti in un meccanismo fraudolento di cui", peraltro, "solo una parte delle condotte criminose è stata disvelata" e che a suo giudizio sarebbero continuate "laddove non fossero intervenute misure cautelari".
Al Gip, il Pm contestava anche una "contraddizione" in quanto, "dopo aver speso decine di pagine nella descrizione della gravità delle condotte contestate", lo stesso ha finito per ritenere proporzionata la sola misura interdittiva. A queste conclusioni si sono opposte in udienza le difese – rappresentate dagli avvocati Giovanni Scudellari, Antonio Primiani, Gianluigi Manaresi, Luca Sirotti, Giampiero Ricci, Ilaria Casadio, Riccardo Sabadini, Corrado Olmo –. E anche il Riesame, quindi un secondo tribunale, alla fine non ha condiviso la linea dell’accusa.
Lorenzo Priviato