di Carlo Raggi
Tre scosse, fra le 7 e le 7,05, brevi, ma molto forti, ondulatorie; era il venerdì 9 agosto 1963, sessant’anni fa, e "mai a memoria d’uomo, un terremoto così forte si era avvertito nel Ravennate e in mezza Romagna", come scrisse il Resto del Carlino in prima pagina nazionale all’indomani. Scosse che Raffaele Bendandi, il noto sismologo di Faenza, classificò del sesto grado della scala Mercalli (all’epoca l’unica utilizzata, misura gli effetti distruttivi), qualcosa pari a magnitudo quattrocinque della Richter (come il terremoto che sette anni fa distrusse Amatrice). In tutto il Ravennate fu panico, proprio in considerazione del fatto che si trattava di un evento praticamente sconosciuto in loco, un evento di cui solo i più attempati potevano avere avuto vaga notizia attraverso i giornali e il riferimento era al terremoto del 1908 che distrusse Messina. Così, alla prima scossa la gente si precipitò fuori casa anche senza nulla addosso.
Vecchi palazzi riportarono danni, due ragazze una nelle campagne di Bagnacavallo, l’altra a Budrio di Cotignola, si gettarono dalla finestra del secondo piano e una di loro riportò serie fratture. Moltissima gente, a Ravenna, nel quartiere Trieste, dormì nelle tende piantate per l’occasione negli spiazzi liberi. All’epoca non c’erano osservatori attrezzati: solo il faentino Raffaele Bendandi era in grado di fornire qualche indicazione, ma quella mattina poté dire solo che il sisma era stato tanto forte che aveva mandato in tilt i pennini dei sismografi. Comunque dalle prime tracce risultava che l’epicentro doveva essere a venti-trenta chilometri da Faenza e che lì l’intensità poteva essere stata anche del settimo grado. Aggiunse che lui il terremoto l’aveva già previsto fin da Capodanno e l’aveva reso noto comunicando che "nella prima decade di agosto" si sarebbe verificato un "movimento sismico di rilevante entità nella zona di Ravenna". L’epicentro comunque doveva essere proprio nel Ravennate perché fu qui che si verificarono i danni maggiori. Il sisma fu avvertito in quasi tutta la regione, da Parma a Rimini, poi in Veneto e in Toscana. E ci furono repliche nel corso della mattinata, di intensità decrescente. All’ ospedale di Faenza, fra il panico generale dei degenti, fu necessario spostare i degenti della chirurgia, dell’ortopedia e della casa della salute (le camere singole) al cortile, per via dei calcinacci staccatisi dal soffitto e di crepe notate sui muri. Negli articoli del Carlino del tempo si sottolinea "l’encomiabile prontezza", ma anche la "calma e serenità con cui sono intervenuti medici, infermieri e suore". Sempre a Faenza crepe furono riscontrate nell’attigua e nuova casa di riposo di viale Stradone. Il sisma fece anche strage di tegole e comignoli di tantissime case.
Fra gli edifici con danni anche la chiesa di San Savino dove cedettero alcune delle colonne che sorreggevano la cupola dell’edicola che ospitava, sul tetto dell’edificio, una statua della Madonna. Data la precarietà della volta, a fine agosto fu necessario abbatterla assieme alle colonne e da allora non è più stata ricostruita. Crepe vennero accertate anche in Duomo, in Santa Maria Vecchia e a palazzo Manfredi, sede del Comune, dove pure si staccarono parti di intonaco. Mentre lungo il litorale la gente si riversò in spiaggia, a Ravenna fu un fuggi fuggi verso le aree aperte e in tanti il terremoto provocò un vero terrore. Come si diceva ci fu chi piantò la tenda negli spazi verdi e ad aumentare i disagi si aggiunse il maltempo che portò pioggia e abbassamento di temperatura a cominciare dal pomeriggio.
La chiesa di San Giovanni in viale Farini fu chiusa per precauzione a causa di calcinacci caduti e fu riaperta solo il 12 agosto; pezzi di intonaco caddero anche sul pavimento della chiesa di san Domenico in via Cavour e alla biblioteca Classense dove si staccarono pietre dalla parete che si affaccia su largo Chartres. Comignoli e tegole di vecchie abitazioni caddero sui marciapiedi. Danni anche ad edifici a Castel Bolognese (in particolare al Credito Romagnolo) e a Brisighella, alle chiese della Collegiata e del Monticino. All’epoca nella nostra provincia solo il Brisighellese era considerato zona a rischio sismico e questa risalente catalogazione contribuì ad accrescere tensione e paura in gran parte della popolazione perché evidentemente le scosse di quella mattina fecero svanire in un lampo a tanti la credenza di essere indenni da un tale tipo di calamità. Tanto che, a scopo precauzionale, per la domenica 11 agosto, la questura vietò la disputa del Gran Premio Garotti, corsa ciclistica per esordienti a Lugo.