FILIPPO DONATI
Cronaca

Il paradosso di Traversara, volontari tenuti lontano dall’epicentro del disastro: “Così non siamo utili”

“Capiamo le esigenze di sicurezza però qualcosa non sta funzionando”. Il caso dei frigoriferi ancora pieni di cibo abbandonati tra i detriti: “Vietato avvicinarsi. Invece vanno svuotati o scoppierà un’emergenza sanitaria”

Traversara (Ravenna), 29 settembre 2024 – “Cristo si è fermato a Traversara”. Le parole di una volontaria danno la dimensione plastica alla distruzione che ancora domina il borgo epicentro della devastazione disseminata in Romagna dal ciclone Boris. Le case semidistrutte di via Torri sono ancora in attesa del responso più macabro, quello che sancirà se andranno abbattute oppure no. All’esterno, nei cortili, i volontari si affannano per tentare di ripulire almeno le parti non minacciate da eventuali crolli degli edifici.

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Fabrizio è partito dall’isola d’Elba per dare una mano agli alluvionati

“I volontari che vedete sono dovuti arrivare spesso di nascosto”, lamenta Piera Alboni, residente di una delle case sventrate dalla piena. “Comprendo la necessità delle autorità di adottare tutte le precauzioni, ma occorre fiducia nel senso di responsabilità dei volontari: nessuno di loro è così pazzo da entrare in una casa pericolante. È qui fuori che c’è bisogno di loro: ostacolarli è una follia”.

I volontari stessi, perfino quelli più navigati, raccontano delle difficoltà incontrate per entrare in zona rossa. “Anche noi abbiamo dovuto attendere l’autorizzazione a lungo - spiega Stefano Esposito, uno degli Amici di Paride, nucleo di soccorritori con alle spalle vari terremoti ed emergenze di tutti i tipi, fra i quali l’alluvione 2023 -. Chi prende le decisioni deve capire che senza il lavoro dei volontari le case di via Torri non verranno mai liberate dalle tonnellate di detriti e oggetti che le circondano”.

Qualcuno non si è arreso: Arianna e Diego, lei mantovana residente in Romagna, lui veneziano, stanno ripulendo un cortile badilata dopo badilata. “Il bobcat che avrebbero potuto inviarci purtroppo è fermo, perché non c’è nessuno che lo guidi”, spiega Piera. I giovani arrivati qui lavorano in condizioni al limite: “Quei frigoriferi proiettati via dalle acque e arrampicati su una pila di detriti in giardino andrebbero rimossi - spiega il marito, Daniele Fenati - o almeno svuotati, prina che il loro contenuto causi problemi sanitari. Ma noi non abbiamo il permesso di entrare: occorre che qualcuno lo faccia. Eviteremmo volentieri un’emergenza nell’emergenza”.

Fino a due giorni fa gli ingranaggi burocratici erano più snelli: in via Torri erano circondati dal nastro bianco e rosso solo gli edifici semicrollati, il flusso di volontari diretti alle altre case era costante. Poi, per qualche motivo - qualcuno punta il dito contro alcuni curiosi che sarebbero piombati qui - si è deciso il giro di vite. “Ma in emergenze come queste non può funzionare così - dice Valentina Gaffuri, al timone della sezione romagnola degli Amici di Paride -, in un simile disastro ogni paio di braccia in più è prezioso. L’anno scorso a Faenza c’era un’organizzazione migliore”. È quanto lamenta anche Fabrizio, dall’isola d’Elba: per aiutare la Romagna ha addirittura attraversato un braccio di mare: “Manca un censimento dei luoghi in cui mandare i volontari. E la zona rossa interdetta a chi vorrebbe aiutare è inspiegabile. L’emergenza è lì, non fuori. Il resto del borgo si sta risollevando”.

Nel frattempo, sull’argine divorato dalla piena, i mezzi meccanici sembrano avere terminato il loro lavoro già alle 16. “Vi sembra normale? - osserva amareggiata Piera Alboni -. Non pretendo che lavorino giorno e notte, ma almeno fino al tramonto sì”.