Ravenna, 15 luglio 2020 - La sua storia ha fatto il giro d’Italia. Dopo il ’coming out’ che risale ormai a due anni fa, una 13enne ravennate – nata all’anagrafe con un nome maschile – aveva promosso una battaglia civile per chiedere una legge sul riconoscimento delle persone transgender. E ora questo desiderio, da lei rivendicato come diritto, si è tradotto in un ricorso al Tribunale che contiene una duplice richiesta: il cambio del nome, ma anche del sesso attraverso un intervento chirurgico. Anche se, precisa subito la madre, "quest’ultimo non avverrà prima della maggiore età e nel caso sarà lei a decidere", mentre il cambio di nome è questione più urgente che la famiglia e la giovane vorrebbero si concretizzasse prima del ritorno a scuola.
Da sempre la bambina vive con disagio il fatto di essere chiamata con un nome maschile, che rifiuta, e molto presto aveva capito di non amare il suo corpo desiderando fermamente di diventare donna. Il giudice civile Antonella Allegra è chiamata a dover gestire una vicenda molto delicata.
Ieri mattina, alla prima udienza, erano presenti i genitori, insieme al loro avvocato e a uno psicologo, nonché il Pm Cristina D’Aniello. In questioni di tale sensibilità e delicatezza la Procura, anche se davanti a un giudice civile, deve rilasciare un parere che in questo caso, coraggiosamente, risulta positivo, pur con alcune sfumature rispetto soprattutto alla tempistica dell’operazione chirurgica, vista la giovanissima età della ricorrente. A spiegare i passaggi della vicenda è la madre dell’adolescente: "Il giudice ci ha detto che dovrà essere prima fatto un percorso con lo psicologo, solo successivamente sarà fissata un’altra udienza". Su un punto il genitore è categorico: "Nessun intervento chirurgico prima della maggiore età e la decisione spetterà a lei. È prematuro pensare in questo momento a un’operazione così delicata, con lei questo concetto è sempre stato sottinteso. Del resto anche una rinoplastica si può fare solo da maggiorenni. Inoltre non si tratterà di una passeggiata, e quando avrà 18 anni avrà la maturità giusta per decidere. Quindi non autorizzo nessuno a pensare che io voglia trattare mia figlia come una cavia".
Sul nome, invece, la questione è più urgente. Anche e soprattutto per il disagio che la bambina ha vissuto durante gli ultimi anni delle medie. Qui una decisione del giudice, che sancisse il cambio di nome da maschile a femminile, metterebbe fine ad ogni imbarazzo. "Fino ad oggi – spiega la madre – non ha vissuto una situazione serena e siamo sempre stati costretti a chiedere ai dirigenti scolastici come favore quello che invece è un diritto: essere chiamata in classe col suo nome femminile. L’altro, neppure lo riconosce e sentirlo pronunciare le crea uno stress enorme. Mia figlia è e si sente una ragazza, si immagini l’effetto che le può fare essere chiamata all’appello o durante l’interrogazione con il nome di nascita, che non sente suo. Il rischio è che debba fare ’coming out’ ogni volta. Lei non deve vergognarsi di essere trangender, ma spetta a lei decidere quando parlarne".
Da questo punto di vista, le difficoltà non sono mancate. "Negli ultimi mesi non andava più a scuola perché si sentiva discriminata. Con i dirigenti scolastici non siamo stati molto fortunati, soprattutto alle medie, dove erano un po’ spaventati, uno addirittura non ci ha mai ricevuti. E comunque non trovo giusto dovere chiedere come un favore quello che è un diritto". Ora la ragazza ha deciso di iscriversi al Liceo artistico, dove ha trovato un ambiente molto inclusivo: "Nella nuova scuola non dovrebbe avere problemi, il loro approccio mi è piaciuto molto. Quando abbiamo chiesto di poter parlare con gli altri genitori ci è stato detto che non ce n’era bisogno perché lei non è diversa da nessun altro". Ora la decisione del giudice potrebbe schiudere alla ragazza una nuova vita e nuove prospettive. "Speriamo di poter festeggiare – dice la mamma – e di non dover chiedere più favori a nessuno".