È entrato con l’accusa di maltrattamenti, è uscito con quella di tortura. Che assieme alla contestata estorsione, alle lesioni personali e al sequestro di persona, ha restituito una condanna pari a sette anni di reclusione (la procura aveva chiesto sei anni e otto mesi). Protagonista della singolare vicenda giudiziaria che, perlomeno in primo grado, ha conosciuto il suo epilogo martedì scorso davanti al giudice Michele Spina, è un ultracinquantenne difeso dall’avvocato Martin Benini. Parte offesa, un suo conoscente ultra-sessantenne che l’imputato aveva ospitato nell’alloggio popolare dove vive.
La vicenda aveva raggiunto i tavoli della magistratura quando l’ospite, che non si è costituito parte civile, dopo essersi forse consultato con i servizi sociali, aveva deciso di denunciare le angherie a suo dire subite tra il dicembre 2023 e il febbraio 2024. Un clima di terrore era emerso dai suoi racconti. A partire dai maltrattamenti contestati dall’accusa: una serie quasi quotidiana di violenze fisiche e verbali - secondo la procura - tra pugni, schiaffi e calci a testa, petto e gambe. Ma anche tentativi di strangolamento, insulti e minacce di scannamento.
Tra gli episodi messi in fila nel capo d’imputazione, figurano pugni e calci allo stomaco il giorno di Natale; una spinta contro una rete il 24 gennaio scorso così veemente da procurare una seria ferita a un dito; e poi mani strette al collo il 15 febbraio in modo così forte da farlo svenire.
L’imputato era giunto - sempre secondo l’accusa - a impedirgli di telefonare prendendogli il cellulare. Sul fronte privazioni, figura infine quella della chiave dell’abitazione: e così lui non poteva uscire se non per andare al Sert. Il tutto condito da un fiume di aggravanti a parte dai futili motivi visto che i pestaggi per mano dell’imputato sarebbero stati alimentati dalla semplice richiesta di restituzione del cellulare o da contestazioni sulla qualità delle pulizie domestiche. C’è poi l’aggravante dell’avere agito contro una persona anziana, tossicodipendente e in evidente stato di debilitazione.
Una ricostruzione nel suo complesso rivista in arringa dalla difesa a partire dalle foto relative alle lesioni: per il legale ragionevolmente riferibili ad altro. In quanto ai maltrattamenti, mancherebbe la necessaria continuità per poterli configurare come tali: c’è solo un singolo episodio refertato. Per la sospetta rottura della falange di un dito a causa di una spinta davanti a un bar, l’avvocato ha messo in evidenza il fatto che non fossero state acquisite né le immagini delle telecamere di videosorveglianza né le parole di eventuali testimoni. Circa la contestata sottrazione del cellulare, in realtà si sarebbe trattato di un gesto legato alla volontà di coltivare relazioni sociali. Da ultimo circa le chiavi, come avrebbe ammesso il cognato della parte offesa, non ci sarebbe stata alcuna sottrazione e dunque inibizione a entrare o uscire di casa. Scontato insomma il ricorso in appello non appena verranno depositate le motivazioni.