In primo grado, a Ravenna, era stato condannato a sei anni, con rito abbreviato, per le accuse di violenza sessuale, maltrattamenti e rapina ai danni della convivente paraplegica. In appello il racconto della presunta vittima ha scricchiolato, tanto che i giudici di Bologna hanno assolto l’imputato, un 35enne rumeno di Massa Lombarda, difeso dall’avvocato Antonio Luciani, dall’ accusa di violenza sessuale – la più rilevante –, confermando i maltrattamenti e la rapina e ridefinendo la pena a due anni di reclusione. La Procura generale di Bologna, invece, aveva chiesto l’assoluzione per tutti i capi d’imputazione. L’uomo, per questi fatti, era stato detenuto in carcere da agosto 2021 a maggio 2023. L’accusa di violenza sessuale, così formulata dai Pm di Ravenna, gli attribuiva il fatto di avere abusato delle condizioni di inferiorità fisica della convivente, affetta da paralisi alle gambe, costringendola con frequenza di due, tre volte al mese a subire atti sessuali. Questo anche attraverso condotte violente, dopo averla immobilizzata sul letto, fino a farla sanguinare. Questa accusa, dunque, è caduta.
I maltrattamenti, invece, sarebbero consistiti in una serie di violenze fisiche e psicologiche, nel picchiarla quasi quotidianamente provocandole lesioni e lividi, nell’umiliarla con offese sessiste e minacciarla di morte, nonché nel costringerla a subire atti sessuali con l’utilizzo di oggetti. Infine, le avrebbe sottratto 50 euro dal comodino dopo averla minacciata e spintonata. Tutti i fatti sono collocati tra il 2019 e il luglio 2021, quando dopo la denuncia della donna, conseguente all’ennesimo litigio, il convivente fu arrestato dai carabinieri.
La Corte d’appello ha rilevato che la persona offesa aveva fatto denuncia ed era stata sentita a sommarie informazioni e basta, cioè solo dai carabinieri e non dal pubblico ministero o dal giudice. Così, sentita in aula nel giudizio di secondo grado, la parte offesa ha confermato le accuse, ma parlando delle violenze ha detto che lo lasciava fare, limitandosi a non opporsi. Nella sua arringa difensiva, l’avvocato Luciani ha fatto leva sulle incongruenze nel racconto della vittima, ritenendo che non fosse credibile e puntando sulla mancanza di riscontri, testimonianze e certificati medici che comprovassero quanto lamentato. Il procuratore generale, all’esito della testimonianza in aula della parte offesa, ha così chiesto l’assoluzione, ritenendo insufficienti o contraddittorie le prove per tutti i reati contestati, ma soprattutto evidenziando che sulle violenze non vi era stata una opposizione formale. Questo atteggiamento passivo, mai sfociato, secondo la donna, in un’aperta contrarietà o rifiuto, ha portato la Procura stessa a ritenere non provata l’accusa di violenza sessuale.
l. p.