Sovradosaggio di un farmaco. Paziente morta in clinica, guardia medica condannata

"Per 13 giorni somministrata quotidianamente la dose di un farmaco per l’intera settimana". In precedenza erano già stati condannati altri due medici, ora in attesa di appello.

Sovradosaggio di un farmaco. Paziente morta in clinica, guardia medica condannata

Una dottoressa in una foto di repertorio

In totale per 13 giorni, dal 26 aprile all’8 maggio del 2018, le era stata somministrata ogni giorno la dose di un farmaco che avrebbe invece dovuto assumere in una intera settimana. Alla fine la paziente - una 81enne ravennate - era deceduta. Per quanto accaduto l’11 maggio di sei anni fa in una clinica ravennate, nel 2021 due medici - un dottore di 76 anni e una dottoressa di 36 - erano già stati condannati in abbreviato a 8 e 6 mesi (si è qui in attesa di appello). Nel primo pomeriggio di ieri è toccato anche alla terza imputata, una dottoressa 51enne: per lei 8 mesi. La difesa - avvocato Stefano Dalla Valle - aveva invece chiesto l’assoluzione sostenendo in sintesi che non vi fosse stata alcuna correlazione tra decesso della paziente ed eventuale sovradosaggio; e in ogni caso che la sua assistita non avesse avuto alcuna responsabilità nell’accaduto. Scontato dunque che, una volta depositate entro 90 giorni le motivazioni, verrà presentato ricorso in appello. I familiari della defunta, tutelati dall’avvocato Chiara Rinaldi, non erano presenti in quanto le assicurazioni si sono già attivate per definire la questione risarcimenti in sede civile.

A suo tempo la perizia medico-legale aveva stabilito che si era trattato di un dosaggio incongruo, non previsto da nessun quadro morboso. L’anziana era stata ricoverata il 25 aprile precedente a causa di un’infezione urinaria e di una sospetta frattura sacrale. L’accusa aveva ipotizzato che i tre medici avessero "disatteso clamorosamente" le prescrizioni terapeutiche domiciliari, già indicate nei tempi di somministrazione e nei dosaggi dal medico curante, prima dell’ospedalizzazione per curare un’artrite reumatoide. Alla degente erano così state somministrate dosi massicce di ’Methotrexate 2,5 mg’: anziché tre compresse a settimana, tre al dì per 13 giorni: cioè un totale di 39. La perizia della professoressa Federica Bortolotti, depositata davanti al gup Andrea Galanti, aveva puntato l’indice verso un grossolano errore del medico di guardia (la 51enne appunto) che il 25 aprile aveva fatto la prima prescrizione terapeutica senza considerare la posologia domiciliare e senza segnalare evidenti criticità nella gestione terapeutica e nel percorso diagnostico che aveva condotto alla individuazione della tossicità.

Secondo la difesa dei due primi medici, non erano stati loro gli autori di quella prescrizione sbagliata: ma il medico di guardia. Secondo un primo perito, inoltre, premesso che il personale sanitario avrebbe dovuto accorgersi che la paziente non stava bene a causa di quelle somministrazioni in eccesso, il 5 maggio la situazione era già compromessa: i due medici l’avevano visitata il 7 e l’8: quindi non vi era nesso causale. Un secondo perito aveva invece sostenuto che fino al 9 la paziente si sarebbe potuta salvare.