REDAZIONE RAVENNA

Si augurava buon anno. Ma valeva solo se detto da un maschio

Questo articolo esplora le tradizioni popolari romagnole legate al Natale e al Capodanno, come la formula di auguri, le canzoni della Pasquella e i detti superstiziosi. Si tratta di una cultura antica che ancora oggi resiste in alcune aree, e che è stata influenzata da credenze pagane e cristiane.

In questi giorni di festività natalizie, pur non volendo cedere troppo a nostalgie, la mente è andata inevitabilmente agli anni di quando eravamo bambini e specie per capodanno in campagna sfidavamo neve e gelo per bussare alle porte dei compaesani con gli auguri di buon anno e racimolare così qualche soldo o dei dolci. Capitava a volte che venisse ad aprirci qualche tipo assonnato mandandoci al diavolo, perché da poco si era coricato dopo una nottata di bagordi. La formula che nelle Ville Unite si usava era: "Anno, buon anno, buon Capodanno, buona fortuna per tutto l’anno", ma in altre zone, come Fusignano ad esempio, e ce lo riferiscono gli studiosi Baldini e Bellosi in ’Calendario e Folklore in Romagna’, la formula era (tradotta in italiano): "Buon giorno, buon anno, buona fortuna nella stalla, nella stalletta, nella tasca del panciotto".

Ai contadini oppressi dai padroni poi, veniva augurato abbondanza di grano, e ahimè, pure la morte del padrone, e a chi non sganciava nulla, veniva augurata la morte dell’asino. I romagnoli hanno sempre fatto pochi complimenti, e non sono mai stati teneri con chi li opprimeva. Dopo capodanno, a chiudere il ciclo delle feste, c’è l’epifania, dove a detta sempre dei citati studiosi, i contadini andavano in giro di casa in casa a cantare la Pasquella, di origine antica, fatta di canti e rituali accompagnati da fisarmonica o da altri strumenti, che variavano a seconda delle zone. Ancora oggi qualche gruppo, in certe aree, specie montane, resiste nel fare onore a queste curiose tradizioni. Molti sono anche i detti che i nostri vecchi ci hanno tramandato. Sono sì frutto di una mentalità prescientifica e di una cultura popolare legata a valori sia pagani che cristiani della vita, imbevuti di credenze e superstizioni, ma derivano anche da osservazione attenta della natura nei suoi vari aspetti. Era consuetudine che a dare il buon anno fossero solo i maschi, perché incontrare in giornata una donna avrebbe portato sfortuna. Le femministe oggi si indignerebbero per questa usanza. Altri tempi, ma vissuti con l’allegria che sia pure in condizioni di povertà, era genuina, dava sapore alla vita. E mangiare uva il primo dell’anno, quella che una volta si conservava sulle travi, dovrebbe comunque portare fortuna. Basta provare.

Nevio Spadoni