CARLO RAGGI
Cronaca

Sauro Mattarelli: "I Lumini del 9 febbraio e i valori mazziniani"

Lo storico e scrittore ha appena pubblicato un volume dedicato a questa tradizione "Persiste anche ai giorni nostri soprattutto nelle ‘Ville Unite’ dove ancora si fa festa".

Lo storico e scrittore ha appena pubblicato un volume dedicato a questa tradizione "Persiste anche ai giorni nostri soprattutto nelle ‘Ville Unite’ dove ancora si fa festa".

Lo storico e scrittore ha appena pubblicato un volume dedicato a questa tradizione "Persiste anche ai giorni nostri soprattutto nelle ‘Ville Unite’ dove ancora si fa festa".

Nove febbraio 1849, dispaccio firmato da Goffredo Mameli a Giuseppe Mazzini: ‘Roma, Repubblica, Venite’. Perché si diffondesse la notizia della conquista di Roma e della fuga del papa occorsero alcuni giorni: il 13 febbraio la Municipalità di Ravenna, finalmente liberata assieme a tutta la Romagna dal giogo papalino, proclamò un giorno di festa salutato al mattino da 101 colpi di cannone e alla sera dall’illuminazione ‘di tutti i pubblici stabilimenti e le abitazioni private’. E da allora i ‘lumini del 9 febbraio’ divennero la manifestazione pubblica di un’idea comune, quella del mazzinianesimo, che, salvo nel periodo buio del ventennio fascista, si è perpetuata e persiste ai giorni nostri soprattutto nelle ‘Ville Unite’ dove i lumini ai davanzali delle finestre ancora compaiono e soprattutto ancora si fa festa: a Santo Stefano (la località più illuminata), e poi San Pietro in Vincoli, San Pietro in Trento e via dicendo. Una tradizione che certamente prima le mutazioni demografiche e poi l’individualismo dilagante hanno attenuato, ma che ancora è ben viva nelle generazioni più avanti negli anni, quelle che ancora oggi costituiscono il nocciolo duro del repubblicanesimo. Di cui lo storico e scrittore Sauro Mattarelli è grande depositario e che di recente ha pubblicato un volumetto (ed. Il Ponte Vecchio) che dei ‘Lumini del 9 febbraio’ porta il nome.

Mattarelli, lei domenica 9 accenderà il lume tricolore?

"Ovviamente; l’abbiamo sempre fatto nella nostra famiglia, a cominciare dai miei avi ottocenteschi. Quando ero bambino i miei accendevano candele o lumi a petrolio, non avevamo l’energia. Il nonno Amedeo accendeva i lumi anche durante il periodo fascista, i ras locali lo tolleravano perché lui era stato in guerra sul Carso con Ettore Muti...Raccontava che però nel ‘29 in vista della firma dei patti lateranensi, l’11 febbraio, i fascisti gli dissero di starsene fermo. Ma lui se ne fregò e li accese. Anche per via del nevone, nessuno venne a controllare! Pensi che decise di accenderli anche dopo l’omicidio di Marino.

Marino Pascoli, intende? "Giornalista, repubblicano e antifascista, ucciso a pistolettate la sera del 4 gennaio del ‘48 fra Mezzano e Ammonite mentre rincasava, mai è stato individuato l’assassino. Nonno Amedeo ne fu angosciato, ma decise ugualmente, un mese dopo, di accendere i lumi. ’Se non lo facciamo lo uccidiamo un’altra volta’ diceva. Questo per dirle quanto fosse profondo il sentimento mazziniano nella nostra famiglia, e in buona parte delle generazioni di allora".

Da cosa ebbe origine l’accensione dei lumi?

"Senz’altro dal manifesto della Rappresentanza municipale di Ravenna del 13 febbraio 1849. Erano occorsi quattro giorni per sapere che a Roma era nata la Repubblica retta dal triunvirato Mazzini, Saffi, Armellini e che quindi il dominio papalino in Romagna era, al momento, finito. Il manifesto rendeva noto che per l’occasione veniva ‘innalzato il vessillo nazionale nella Torre del popolo, salutato da 101 colpi di cannone e dai suoni della Banda cittadina’ e che tutti ‘i pubblici stabilimenti e l’esterno delle abitazioni’ dovevano essere ‘illuminati come sarà splendidamente illuminato il Comunale Teatro’. La Repubblica romana come finì a luglio e tornò il potere papalino, ma nella nostra gente non si cancellò più l’aria mazziniana assorbita in quei mesi".

E quei lumi sono diventati tradizione...

"I lumini sono la rappresentazione visiva di una idea, l’idea del mazzinianesimo, ovvero libertà, eguaglianza, responsabilità, giustizia, dovere, rispetto della legge. Un’idea che però deve sempre concretizzarsi in azione, è il principio mazziniano del pensiero e azione. Purtroppo tutto si è affievolito quando è apparsa evidente la separazione fra ciò che la politica dice e ciò che si realizza, ovvero il risultato concreto. Da qualche tempo sono in molti a considerare i valori mazziniani addirittura disvalori! Questo e il cambiamento demografico degli ultimi decenni hanno affievolito la tradizione, ma non l’hanno annullata...noi resistiamo!"

Oltretutto molte pagine del pensiero mazziniano sono ben spendibili anche oggi...

"Ma certo e c’è di più, basterebbe ricordarsi di quanto la nostra Costituzione debba ai principi della Repubblica Romana e della sua Costituzione".

Nei circoli del Pri delle Ville Unite ancora oggi si fa festa.

"Certo, tanto per dirle, il 9 a Santo Stefano la cooperativa ‘Mazzini-Ville Unite’ organizzerà un grande pranzo e alla sera tutta la facciata del circolo sarà illuminata; in serata a far festa sarà San Pietro in Campiano con tanto di cena e forse viene anche il neo presidente della Regione".

L’idea mazziniana non ha proprio confini partitici.

"Basti dire che Michele De Pascale ha la tessera dell’Associazione mazziniana! Per tornare alle feste: a San Pietro in Vincoli ci saranno luci e fuoco davanti alla casa del Pri e aggiungo anche che sembra esserci un rinnovato interesse per questa tradizione. Lo vedo dalle presenze alle presentazioni del mio libro sui lumini: ne ho già fatte tante, poi l’8 sarò a San Michele al circolo repubblicano, venerdì 7 al pomeriggio ci sarà un incontro alla Classense, anche con cori risorgimentali, altre sono in calendario e non solo in Romagna".

Nel Ravennate l’area fortemente repubblicana era quella delle Ville come d’altra parte l’area a più forte connotazione comunista era quella a nord ovest della città, verso Mezzano e la bassa lughese.

"Là ci fu il trasferimento dal socialismo al comunismo, qui ad agire, a fare da stimolo fu l’arrivo di Epaminonda Farini, una volta rientrato dall’esilio, nella seconda metà dell’Ottocento. Venne ad aprire una farmacia a San Pietro in Vincoli e la farmacia fu il centro della diffusione dell’idea mazziniana. Epaminonda era del ramo cadetto dei Farini, Luigi Carlo era suo cugino, ed era stato fra i protagonisti della presa di Roma e della Repubblica romana. Intransigente fino all’eccesso, pensi all’autorevolezza che poteva avere sia come farmacista sia per i suoi trascorsi risorgimentali, la persecuzione: un crogiuolo di sentimenti che si irradiarono nella popolazione di queste terre".

Santo Stefano è da sempre considerato l’epicentro storico del mazzinianesimo?

"Lì è lo zoccolo duro, ancora oggi vivo, tanto che il circolo domenica prossima sarà come sempre tutto illuminato di rosso, bianco e verde. A Santo Stefano fino agli anni 70-80 per il 9 febbraio si facevano le feste più imponenti, più belle. Si ballava nel salone del cinema Pace, un cinema peraltro gestito da tutti i partiti anche se il partito repubblicano è il più importante"

Intervenivano anche famose orchestre.

"In primo luogo l’orchestra Casadei, e poi la banda locale. Si cominciava con l’inno di Mameli e qualche volta suonavano anche la canzone del Piave... una delle canzoni patriottiche più note, poi un misto fra liscio e canti risorgimentali. E via con le danze!".