"Salviamo il dialetto". Conselice e il vernacolo: le iniziative della Pro Loco

In programma commedie dialettali, un concorso di poesie e uno per dicitori. Lo studioso Bellosi: "Una parte della nostra storia che sarebbe un peccato perdere".

"Salviamo il dialetto". Conselice e il vernacolo:  le iniziative della Pro Loco

Giuseppe Bellosi, appassionato studioso del dialetto romagnolo da sempre difende il vernacolo

È dagli anni ’80 che la Pro Loco di Conselice ha iniziato a dare vita, tra le sue iniziative, anche a manifestazioni dedicate al vernacolo romagnolo. Un impegno particolare questo che viene destinato in particolare a tre iniziative: lo svolgimento di commedie dialettali, un concorso di poesie in vernacolo e un concorso dialettale per dicitori. Una manifestazione, pure questa a carattere biennale come quella della poesia, e che tra l’altro si distingue attualmente come l’unica in tutta la Romagna. E proprio in questi giorni è uscito il bando di questo concorso letterario, quest’anno giunto alla sua XXII^ edizione e con partecipazione che prevede l’invio dei testi da recitare entro la data del 19 ottobre 2024. Un impegno in difesa della sopravvivenza della parlata romagnola, quello della Pro Loco conselicese, che vede impegnate anche associazioni culturali e compagnie dialettali , sotto l’egida del benemerito Istituto Friedrich Scurr di Santo Stefano; impegno che pare comunque destinato a non sopravvivere nel tempo. Una autorevole conferma in proposito viene da uno studio pubblicato dall’Unesco sulle lingue in via di estinzione e tra le quali risulta incluso anche il dialetto emiliano-romagnolo. Ed è allo stesso Giuseppe Bellosi, noto e appassionato studioso del dialetto romagnolo cui chiediamo se c’è un futuro per il nostro dialetto. "In Romagna fino alla fine dell’ottocento – afferma lo studioso fusignanese – per tutte le classi sociali la lingua parlata quotidianamente era il dialetto. L’italiano era riservato alla scrittura (per quella minoranza che sapeva scrivere) e alle occasioni ufficiali e formali. Poi nel corso del Novecento le famiglie delle classi dominanti hanno incominciato gradualmente a parlare al loro interno in italiano, prima nelle città poi nei paesi. Così il dialetto, che precedentemente non aveva alcun connotazione sociale, ha perduto prestigio a favore dell’italiano, vista come la lingua del benessere e dell’istruzione. Pian piano il dialetto è diventato la lingua esclusiva delle classi popolari: dei contadini, degli operai, degli artigiani e della piccola borghesia".

"Così arriviamo alla metà degli anni ’60 – afferma infine Giuseppe Bellosi – quando con il boom economico e il benessere diffuso le classi popolari si convertono alla modernità. I genitori che tra di loro parano dialetto decidono, nella stragrande maggioranza, di insegnare ai nuovi figli l’italiano. In molte famiglie i figli nati prima della metà degli anni ’70 hanno imparato dai genitori il dialetto, quelli nati successivamente hanno imparato l’italiano, salvo poi imparare il dialetto sul luogo di lavoro o al bar. Quando la trasmissione di una lingua dai genitori ai figli viene interrotta, il destino di quella lingua è irreversibilmente segnato. Rimarranno ancora, per qualche altro decennio, alcuni in grado di capirlo, e magari di leggere le poesie dei nostri grandi poeti romagnoli, che hanno dato ai nostri dialetti una dignità letteraria nazionale".

Renzo Rossi