Rischio cementificazione: "Quel legame fra l’alluvione e lo sfrenato consumo del suolo"

Pileri, docente al Poliltecnico di pianificazione territoriale: "Davanti a maxi-volumi di pioggia l’eccesso di cementificazione ha portato a una circolazione di acqua superficiale maggiore".

Rischio cementificazione: "Quel legame fra l’alluvione e lo sfrenato consumo del suolo"

Rischio cementificazione: "Quel legame fra l’alluvione e lo sfrenato consumo del suolo"

di Filippo Donati

L’Emilia-Romagna come un laboratorio a cielo aperto con cui gli atenei studino come far tornare suolo quelle porzioni di territorio consumate dall’asfalto e dal cemento. È quello che propone alla Regione, collegato da una Milano da poco allagata, l’urbanista Paolo Pileri, docente di Pianificazione territoriale ambientale al Politecnico, da cui combatte ormai da decenni la sua battaglia contro il consumo di suolo, che finora l’asfalto e il cemento stanno drammaticamente vincendo, al ritmo, in Emilia Romagna, di 635 ettari nel solo 2022.

Professor Pileri, partiamo dall’inizio: quanto ci è costato il consumo di suolo in occasione dell’alluvione del 2023?

"Parlano i numeri: quando si asfalta una porzione di territorio aumenta di sei volte la quantità di acqua che ristagna in superficie, senza essere assorbita dal terreno. Davanti a volumi di pioggia che erano già di per sé fuori scala, l’eccesso di cementificazione ha portato a una circolazione di acqua superficiale maggiore, complice la rete di assorbimento ridotta".

La ricetta che avremmo dovuto mettere in campo anni fa è nota: smettere di cementificare. Dinanzi alla crisi climatica siamo ora di fronte a un nuovo nemico, non è così?

"A partire dalle giornate immediatamente successive all’alluvione l’Emilia-Romagna avrebbe dovuto voltare pagina: non dobbiamo solo smettere di cementificare, ma mettere in campo una programma di ‘depavimentazione’, di deimpermeabilizzazione del terreno. Ricostruire come prima è esattamente l’opposto di ciò di cui abbiamo bisogno".

Da dove cominciare?

"Purtroppo non ci sono linee di finanziamento in quel senso. Ma le istituzioni europee hanno approvato la direttiva di ripristino della natura, che è un punto d’inizio. Ora però sono i sindaci della Romagna a dover avere il coraggio di buttare il cuore oltre l’ostacolo, occorre la volontà politica di diventare un laboratorio a livello italiano e internazionale. Tocca a loro cominciare a chiedere finanziamenti per cominciare un nuovo capitolo della storia dell’urbanistica".

Alcuni se lo staranno chiedendo: ma per fare cosa, esattamente? Come torna terreno fertile un’area che è stata ricoperta da cemento o asfalto?

"È qui il cuore della questione. A Prato è in corso quello che, per quanto ne so, è l’unico esperimento in Italia volto a ‘resuscitare’ un terreno morto. Non ne sappiamo quasi nulla: la ricerca è indietro perché finora le istituzioni non hanno voluto saperne di rinaturalizzazione. Un terreno liberato dall’asfalto che lo ricopre sarà ricolonizzato autonomamente dalle specie vegetali? E in quanto tempo, dieci anni? Oppure occorrerà del compost, o bisognerà pensare di trasformare quel terreno in una miscela di suolo e compost? All’Emilia-Romagna dico: cogliete questa sfida. Apriamo dieci o quindici siti pilota di depavimentazione. Quei laboratori non mancano: ci sono un’infinità di terreni industriali abbandonati al limitare delle aree urbane; e non mancano neppure i ricercatori, in Emilia Romagna avete quattro atenei. Occorre solo la volontà politica di immaginare un nuovo futuro".

Sono state riposte troppe aspettative nelle soluzioni dipinte quali ‘panacee alluvionali’, come le casse d’espansione?

"Le foto satellitari della Romagna allagata sono impietose: davanti a un evento di quel tipo, con una regione costellata di ‘mari interni’, dobbiamo essere realisti e dirci che le casse d’espansione possono ospitare una percentuale minima di quella quantità d’acqua. Senza contare che anche le casse sottraggono suolo alla vegetazione o all’agricoltura: scordiamoci che quegli ettari possano essere rimossi e riposizionati altrove, dove prima c’era dell’asfalto. Il suolo è materia viva, esiste nell’equilibrio che si è costruito in un determinato ambiente. I bacini di laminazione sono una foglia di fico".

Molti si domandano se i volumi d’acqua del 2023 torneranno mai: forse non dai fiumi, ma quasi certamente dal mare. Condivide?

"L’innalzamento del livello dei mari complica tutto il quadro. Un livello del mare più alto significa inoltre che le acque alla ricerca di sbocchi nell’Adriatico li troveranno con maggiori difficoltà. Non abbiamo molte soluzioni in mano: possiamo solo investire nelle aree fluviali per rinaturalizzare i fiumi – altro capitolo non digerito dalla politica – e guadagnare spazio sulle coste. Vagheggiare soluzioni tecnologiche è fantascientifico. Di nuovo, abbiamo bisogno di più natura, non meno. Un sistema di dune è quello che può proteggere la costa romagnola, non l’asfalto a due passi dal mare".