ROBERTA BEZZI
Cronaca

"Raccagni, un instancabile sperimentatore"

Alla Fondazione Sabe apre la mostra dedicata all’artista di Imola. Il curatore Claudio Spadoni: "Usava materiali come alghe e papaveri"

Alla Fondazione Sabe apre la mostra dedicata all’artista di Imola. Il curatore Claudio Spadoni: "Usava materiali come alghe e papaveri"

Alla Fondazione Sabe apre la mostra dedicata all’artista di Imola. Il curatore Claudio Spadoni: "Usava materiali come alghe e papaveri"

A vent’anni esatti dalla scomparsa, la Fondazione Sabe per l’arte di Ravenna dedica una personale all’artista imolese Andrea Raccagni, esponente di spicco dell’informale italiano, intitolata ‘Vortice cosmico’. La vernice della mostra è in programma stasera alle 18 in via Pascoli 31, dove resterà aperta fino al 29 giugno. Ne è curatore lo storico e critico dell’arte ravennate Claudio Spadoni, che è stato docente di Storia dell’arte, nonché direttore dell’Accademia di Belle Arti e del Mar di Ravenna. Il legame con la Fondazione Sabe nasce dall’amicizia di lunga data con l’artista Mirella Saluzzo e Norberto Bezzi, fondatori della galleria.

"Sono reduce da ben tre inaugurazioni di mostre di cui sono curatore, tra Imola, Aosta e Mendrisio in Svizzera – ricorda –. Ormai lavoro quasi esclusivamente fuori città, si può dire che il mio unico rapporto con Ravenna passi proprio attraverso la Fondazione. Mi fa molto piacere far parte del comitato scientifico, un gruppo di lavoro molto affiatato".

Spadoni, come ha conosciuto Raccagni, protagonista del panorama artistico nazionale per oltre cinquant’anni, di cui in passato aveva già presentato delle mostre?

"Grazie ai miei docenti Francesco Arcangeli e Renato Barilli che già lo seguivano con attenzione. Poi nel tempo è nata un’amicizia, mi sono occupato della mostra antologica dedicata dalla Galleria d’Arte Moderna di Bologna e ho parlato di lui al gallerista Bruno Sargentini di Roma che aveva tenuto a battesimo l’informale internazionale e che in seguito gli riservò una mostra".

Raccagni nasce come pittore, frequentando gli studi di Tommaso Della Volpe, Anacleto Margotti e Giorgio Morandi, per poi orientarsi verso la scultura, affascinato dagli ultimi naturalisti di cui ha parlato Arcangeli in un saggio…

"Sì. La mostra allestita alla Fondazione Sabe copre il periodo che va dalla metà degli anni Cinquanta fino agli anni Ottanta, iniziando quindi con le opere realizzate con diversi materiali naturali extra pittorici trovati lungo i fiumi e sentieri imolesi, come alghe, papaveri, sterpi, sassi o rampicanti, per arrivare poi all’utilizzo di materiali metallici, quali spirali e sfere lavorate con la fiamma ossidrica".

Quante opere sono in mostra? "Circa una dozzina per testimoniare questo passaggio da pittore a scultore, il suo essere un instancabile sperimentatore, capace di accostare e conciliare gli opposti: razionale e irrazionale, dinamismo e staticità. La sua era già una pittura molto materica, attraverso le opere ‘Liberi’ esce definitivamente dal limite del quadro, mostrando la sua capacità di solidificare entità gassose altrimenti inconsistenti".

A ispirarlo è stato poi l’incidente di Chernobyl. Come?

"Così è nata la serie di ‘Funghi’, creazioni che alludevano a una natura ormai trasformata in qualcosa di altro, fino all’elaborazione di sculture che evocavano qualcosa di cosmico e astrale. La sua è una scultura barocca in chiave contemporanea, per certi aspetti ridondante e portata a occupare spazi. I suoi metalli lavorati e traforati hanno perso quel carattere di compattezza e monumentalità della scultura tradizionale, disperdendo la plasticità come fosse una dispersione fisica".

Lei è stato a lungo direttore del Mar di Ravenna. Cosa ricorda di quel periodo?

"Anzitutto, il lavoro molto intenso di uno staff di allora giovanissimi collaboratori, che ora ricoprono incarichi di prestigio, con cui ho mantenuto un rapporto forte. Per quanto riguarda l’attività svolta, le soddisfazioni sono legate alle mostre dedicate agli storici dell’arte e alla più grande rassegna di Giacometti"