Lugo (Ravenna), 19 gennaio 2018 - Ora c'è un omicidio, quello della 23enne cubana Yanexy Gonzales Guevara. E c’è un colpevole, il marito 45enne Marco Cantini. A lungo in molti avevano pensato che la fine della breve vita felice di Yanexy potesse magari essere arrivata per un suicidio nel pozzo a pochi metri dalla casa di Passogatto di Lugo dove viveva con il consorte fin da quando era giunta da Cuba novella sposa. Lanciarsi in un angusto, vecchio pozzo per cercare la morte, è ipotesi certo non così accessibile ma pur sempre presente nell’immaginario collettivo. A darle impulso, era stata la clamorosa assoluzione, con scarcerazione, che Cantini era riuscito a incassare in primo grado.
Nella tarda serata di ieri la corte di Cassazione ha però sgomberato il campo da ogni dubbio, rendendo definitiva la condanna a 23 anni e mezzo pronunciata contro il 45enne il quale dovrà ora andare in carcere. Confermate anche le provvsionali per le parti civili, i familiari della defunta tutelati dagli avvocati Alice Luca e Alessandro Gamberini.
Per arrivarci, ci sono voluti cinque gradi di giudizio distribuiti in quasi dieci anni. Del resto il ritrovamento nel pozzo del cadavere della ragazza risale alla sera del 2 settembre 2008, 12 giorni giorni dopo la scomparsa. Nessun segno, sostanzialmente per due ragioni: perché era in decomposizione. E perché l’esame autoptico nella zona della bocca, là dove avrebbero potuto trovarsi segni di soffocamento, «ebbe luogo in maniera più che superficiale», avevano chiarito i giudici della corte d’assise d’appello (bis) motivando l’ultima condanna, quella appunto diventata definitiva poche ore fa.
Di sicuro dal punto di vista investigativo, si è trattato di un caso tutto in salita visto che non fu trovata «nessuna traccia di morte violenta». Però Cantini, avevano scritto i giudici, avrebbe potuto aggredire la 23enne, senza lasciarle segni in uno scenario di questo tipo: lei «viene afferrata da dietro, spinta sopra a uno dei cuscini del divano nel soggiorno, tenuta con il capo premuto fino al soffocamento».
E la corte si era perfino andata a cercare sul web le immagini dell’imputato, descrivendolo come «muratore corpulento, del peso di 80 chili». Riferimento al suo lavoro di imprenditore edile che gli è valso più di una lode durante i due anni circa di custodia cautelare in parte dedicati a varie ristrutturazioni nel carcere di Forlì.
In ogni modo, Yanexy di chili «ne pesava 40 ed era di corporatura esile». Certo, è impossibile stabilire se fosse morta «per annegamento o per compressione». Ma in fondo questo è solo un dettaglio, visto che a determinare la condanna del marito, erano stati i numerosi indizi, definiti «precisi, gravi e concordanti» e isolati nel contesto di una separazione coniugale particolarmente tumultuosa.
Non era però andata sempre così: il 4 dicembre 2012 la corte d’assise di Ravenna lo aveva assolto e scarcerato, così come avevano chiesto i suoi difensori Giovanni Scudellari e Luca Berger. Il 3 aprile 2014 in appello sentenza ribaltata con una condanna a 23 anni e mezzo di carcere. Il 22 settembre 2015 la Cassazione aveva annullato rimandando tutto indietro.
Cantini nel frattempo si era innamorato di nuovo, si era risposato e con la sua nuova compagna, una ragazza di origine romena, era andato a vivere in quella stessa casa di Passogatto. Circostanza questa naturalmente ininfluente nell’appello bis da cui il 21 luglio 2016 era uscita la condanna per la quale la Cassazione ha ora messo la parola fine: Yanexy fu ammazzata per mano del marito, punto.