Dentro ci sono tutti i messaggi, le mail e le immagini scambiate dai protagonisti della vicenda. Ma soprattutto la consulenza informatica appena depositata, eseguita sui dispositivi elettronici sequestrati ai due indagati – tra cellulari e computer –, rappresenta dal punto di vista tecnico l’ultimo tassello delle indagini preliminari per la morte di Ilenia Fabbri, la 46enne uccisa nella sua abitazione di via Corbara a Faenza, il 6 febbraio scorso. Restano in piedi alcuni accertamenti patrimoniali della guardia di Finanza sul 54enne Claudio Nanni, ex marito della defunta, in carcere con l’accusa di essere il mandante del delitto e difeso dall’avvocato Francesco Furnari. Una volta depositati, ecco che allora la procura chiuderà le indagini, posto che una richiesta di archiviazione non è nemmeno vagamente ipotizzabile. Anzi, considerati i ritmi di lavoro degli inquirenti, già entro l’estate si dovrebbe giungere alla definizione della cosiddetta azione penale: alla luce dei tanti elementi probatori incamerati, potrebbe materializzarsi sotto forma di giudizio immediato. Ovvero tutti subito a processo senza passare dall’udienza preliminare. Visto che per i reati puniti fino all’ergastolo non è più possibile chiedere l’abbreviato (rito che comporta lo sconto di un terzo della pena), già entro fine anno si potrebbero aprire le porte della corte d’assise di Ravenna.
In quanto al contenuto della consulenza informatica, si concentra perlopiù sulle metodologie applicate. Al momento, dunque, non è possibile sapere quali messaggi specifici ci potessero essere nei dispositivi analizzati, anche se nelle conclusioni del consulente individuato dalla procura si segnalano promemoria di particolare interesse probatorio. Di chi e perché non viene specificato. Per saperlo, occorrerà attendere che la squadra Mobile depositi la specifica elaborazione. Di recente, sono stati depositati pure i risultati di altre due consulenze tecniche: l’autopsia affidata dal pm Angela Scorza e le analisi eseguite dalla polizia Scientifica di Roma nell’appartamento della donna e nella vettura in uso a Pierluigi Barbieri, alias lo Zingaro, il 53enne di origine cervese (ma domiciliato nel Reggiano) reo confesso dell’omicidio e tuttora in carcere.
È emerso che il sicario non ha lasciato nessuna traccia biologica né sulla scena del crimine né sull’auto della compagna, usata per raggiungere la residenza della vittima a Faenza. In quanto all’aggressione, le lesioni al collo hanno escluso uno strozzamento con le mani e hanno corroborato le ipotesi formulate a caldo: il decesso è arrivato per un profondo taglio alla gola. Dall’esame autoptico è emersa una frattura vasta in zona tiroidea, compatibile con una ’azione compressiva’ molto forte. E si torna al manico in teflon di martello fatto ritrovare da Barbieri in un campo vicino all’A14. Secondo i coroner, con quello il 53enne aveva provato a soffocare la donna e, per riuscirci, con un ginocchio aveva fatto leva sulla schiena della malcapitata, tirandola a sé. Poi, per accelerare l’azione, ancora prima che lei morisse soffocata, aveva deciso di usare un coltello in ceramica, recuperato nell’abitazione.
Andrea Colombari