REDAZIONE RAVENNA

Negozi chiusi dopo l’alluvione. "È molto dura"

Tante serrande abbassate in centro. "Servirebbe un fondo per consentire di rivolgersi a imprese provenienti da altre regioni"

Negozi chiusi dopo l’alluvione. "È molto dura"

Negozi chiusi dopo l’alluvione. "È molto dura"

L’alluvione lascerà una ferita lenta a rimarginarsi in corso Garibaldi e corso Saffi: a cinquanta giorni dal disastro della notte fra il 16 e il 17 maggio molte realtà appaiono ancora nel limbo, mentre altre si può dire abbiano già chiuso i battenti. Quest’ultimo è il caso dello storico negozio ‘Ben Nevis’ di corso Garibaldi, che come si apprende da un cartello posto sulla vetrina ha deciso di concentrare le proprie attività nell’altra realtà commerciale in mano agli stessi proprietari, vale a dire il negozio ‘Poco Poco’ di corso Matteotti. Ha a quanto pare deciso di chiudere anche la storica rivendita di frutta Valtancoli, posta proprio nel punto in cui corso Saffi si apre nell’incrocio che conduce al Ponte delle Grazie: una parte della città all’intersezione fra tre zone rosse – il Borgo, via Lapi e via Ponte Romano – che l’alluvione ha colpito con una violenza inaudita. Non è invece chiaro se e quando riaprirà la gelateria Linus Jazz, anch’essa in corso Saffi, gettonatissima dai più giovani ma non solo: all’esterno per il momento non sono state affisse indicazioni. Spostandosi in corso Garibaldi, è invece intenzionato a riaprire al pubblico il punto vendita del franchising Coffy Way gestito dal giovanissimo William Donati: qui l’acqua del Lamone è arrivata addirittura da due direzioni: da piazza San Francesco – dove il fiume ha fatto irruzione risalendo via Sant’Ippolito e via Croce – e da viale della Ceramiche, lasciando in entrambi i casi dietro di sé una scia di devastazione. E’ proprio William Donati a spiegare i contorni del vicolo cieco in cui si trovano molte attività: "per poter accelerare i tempi della riapertura, come hanno potuto fare alcuni supermercati, bisognerebbe avere la forza economica per potersi permettere di rivolgersi a maestranze da fuori regione, considerando che quelle locali sono sobissate dalle richieste. Ma è un qualcosa che appunto possono fare i grandi gruppi: molti proprietari di locali preferiscono aspettare qualche settimana o qualche mese, e rivolgersi a imprese del territorio, contenendo così le spese. Purtroppo è una situazione che rallenterà una vera ripresa: vedremo per molto tempo le serrande abbassate". Altri proprietari hanno chiesto agli affittuari di anticipare i soldi per pagare le imprese di ristrutturazione, con la proposta di scalare quegli importi dagli affitti: ma fra i negozianti, in crisi per l’alluvione ma anche per il restringersi dei consumi delle famiglie dovuto alla crisi inflattiva, pare siano ben pochi quelli che hanno accettato una sfida come questa.

"Dovrebbero essere le amministrazioni a creare un fondo per consentire ai proprietari o ai negozianti di rivolgersi ad imprese provenienti da altre regioni – il che ormai significa raggiungere aziende poste anche molto lontano – in modo da far ripartire le attività al più presto, senza vederle travolte da costi astronomici", prosegue Donati. "Ma non vedo all’orizzonte un’iniziativa di questo tipo". Paradossalmente, chi ha accelerato nella riapertura sta cominciando a domandarsi se sia stata una scelta oculata. Alcune attività, convinte di avere avuto danni non ingenti, hanno infatti riaperto senza valutare che i muri erano comunque stati molte ore a contatto con l’acqua del fiume, e avrebbero avuto bisogno di molto più tempo per asciugarsi. Muri che ora stanno cominciando a emanare odore di muffa: "non il miglior biglietto da visita per un negozio di alimentari o di abbigliamento", fa notare un cliente. "Fortunatamente oggi il pubblico è comprensivo. Ma per quanto sarà ancora così?".

Filippo Donati