Tre anni e mezzo a testa per la distrazione dell’azienda. Ma anche l’assoluzione sia per un’altra contestata distrazione che per l’imputazione di bancarotta fiscale (la richiesta della procura era stata di quattro anni e mezzo). Si è chiuso così ieri mattina il processo che vedeva l’immobiliarista Giuseppe Musca e la moglie Susi Ghiselli alla sbarra per gli strascichi penali relativi al fallimento della società di consulenze Sicro Consulting srl. La sentenza è stata pronunciata giusto poche ore dopo la discussione legata alle vicende penali sorte attorno a un famoso marchio di calzature: Ishikawa. In questo caso il pm Lucrezia Ciriello ha chiesto la condanna a sei anni di reclusione per Musca e a quattro anni e mezzo per la consorte commercialista. Il loro legale – l’avvocato Filippo Furno – ha invece chiesto l’assoluzione per entrambi. La sentenza è attesa per fine mese. Tra un paio di settimane comparirà davanti al gup (ha scelto un’altra via processuale: l’abbreviato) pure il terzo imputato: si tratta del creatore del marchio, Angelo Lupis (avvocato Carlo Benini). Infine per il quarto e ultimo imputato, Luca Midali, indicato come amministratore unico di una delle società coinvolte, è stata chiesta l’assoluzione.
Nel dettaglio le indagini della guardia di Finanza, avevano portato a contestare a Lupis per gli anni 2011-2014 un’evasione milionaria tra Irpef e Iva: per l’accusa, non avrebbe cioè presentato la dichiarazione annuale dei redditi. Musca invece era stato tirato in ballo in qualità di consulente di Lupis; la moglie del primo era stata indicata quale consigliere e socio unico di una srl beneficiaria delle somme da riciclare. “Nel 2015 – ha spiegato il pm in requisitoria - erano iniziati accertamenti fiscali nei confronti di Lupis totalmente sconosciuto all’Erario”. E lui a un certo punto “aveva chiesto di essere sentito. Disse di essersi avvicinato a Musca perché amico di famiglia”. E, su idea di questi, “di avere creato la società svizzera Macedonio International Sa proprietaria del marchio”. Si tratta di una società anonima, ovvero dall’Italia “non vediamo i soci: Lupis ci disse chi c’era dietro, questo non lo sapevamo”. E anche se i titolari “formalmente erano altri”, lui “aveva la garanzia della proprietà reale tramite una scrittura privata”. Insomma, “Musca era la mente: e la garanzia per Lupis era cedere al 70% la licenza alle società di Musca-Ghiselli”. Alla fine dunque i due coniugi “avevano in mano licenza e marchio con cui guadagnavano”.
Su Lupis, il pm si è domandato: “Perché è così sciocco? Perché pensa: ho una scrittura privata che, a mia richiesta, mi consente di comperare a 900 euro il 70%” da aggiungere al 30% di quote che aveva in mano. Ma la scrittura privata era stata disconosciuta: “Musca si è tenuto licenza e capitali”. In conclusione Lupis era stato “sciocco ma logico: voleva sfruttare il marchio con società non riconducibile a lui”. E si era rivolto ai coniugi Musca perché “aveva bisogno di una consulenza criminale su come raggirare il fisco: altro che internazionalizzazione del marchio”. Per la difesa invece, Musca, sentito a dibattimento, “ha ben presentato il progetto e spiegato in un’ottica di assoluta legalità tutti i passaggi. Non è un benefattore: era chiaro che l’intento fosse di guadagnarci. In maniera lecita però”.
a.col.