Morto nel crollo alla diga: "Preallarmi sottovalutati, c’era tempo di rimediare. Il progetto era carente"

La relazione dei consulenti del Pm al processo per omicidio e disastro colposi "Dalla centrale idroelettrica tanti campanelli d’allarme, si agì con leggerezza" .

Morto nel crollo alla diga: "Preallarmi sottovalutati, c’era tempo di rimediare. Il progetto era carente"

La relazione dei consulenti del Pm al processo per omicidio e disastro colposi "Dalla centrale idroelettrica tanti campanelli d’allarme, si agì con leggerezza" .

Troppi segnali di preallarme sottovalutati, mentre ci sarebbe stato il tempo per rimediare. Senza contare che i lavori della centrale idroelettrica avrebbero intaccato le fondamenta e la stabilità di una diga di inizio Novecento, che fin lì non aveva dato problemi. Sono queste, in sintesi, le conclusioni alle quali sono arrivati i consulenti della Procura, che ieri hanno illustrato la loro relazione conclusiva nell’ambito del processo per omicidio e disastro colposi legato alla morte di Danilo Zavatta, il tecnico della Protezione civile morto il 25 ottobre 2018 nel crollo della passerella pedonale sulla diga di San Bartolo. Nove gli imputati tra tecnici e dirigenti della Regione, progettisti e imprenditori.

Rispondendo alle domande del Pm Lucrezia Ciriello, Paolo Mignosa e Andrea Segalini, docenti di idraulica e geotecnica all’università di Parma, hanno precisato come all’origine del cedimento della pila – sulla quale l’ispettore idraulico Zavatta stava camminando per ispezionare un importante dissesto arginale che era in atto da alcune ore – vi fosse stato un violento fenomeno di sifonamento dovuto alla presenza di un grosso buco (in udienze precedenti ribattezzato "pozzettone", più prosaicamente una "voragine") sotto la struttura che incanalava l’acqua del Ronco verso le turbine. Durante un’ispezione svolta a metà del mese successivo, i due esperti, sul fondo parzialmente prosciugato del canale idroelettrico, riscontrarono la presenza di altri fori, che avrebbero contribuito al fenomeno di sifonamento. Ma, soprattutto, progettisti e costruttori dell’impianto avrebbero "sottovalutato" i primi campanelli d’allarme. Ad aprile del 2018 restò inascoltata la segnalazione del Consorzio di bonifica circa repentini abbassamenti del livello dell’acqua, addebitati dall’impresa a "cali a monte", invece attribuiti dai consulenti del Pm a manovre sulla centrale o a sifonamenti già in atto. Nei mesi precedenti erano inoltre stati avvistati avvallamenti nello stradello di accesso alla centrale, segno che "qualcosa nel sottosuolo stava succedendo...". E ancora, già un anno e mezzo prima, ad aprile 2017, in fase di costruzione dell’impianto, si erano verificati i primi fenomeni di scalzamento della pila, con "formazione di grosse cavità sotto i pali di sostegno", attribuite dall’impresa "a piene in realtà mai verificatesi". Alla richiesta della Regione di correre ai ripari, dopo una temporanea interruzione del cantiere, fu costruito un muro di sostegno.

Un altro aspetto dirimente riguarda le carenze del progetto, che non prevedeva alcuno studio di tipo idraulico, né contromisure o presidi da attuare in caso di sifonamento: "una parola che nel progetto non compare mai". E i dirigenti della Regione, responsabili degli iter autorizzativi? Secondo gli esperti si sarebbero limitati a prendere per buone le rassicurazioni dell’impresa. Il progetto dell’impianto idroelettrico, infine, non fa alcun riferimento a quello della diga e avrebbe finito per compromettere la stabilità di un manufatto di inizio Novecento e rimaneggiato negli anni ’50, che col Ronco aveva sempre convissuto. La probabile soppressione, parziale o totale, del taglione, un diaframma in muratura che determina la tenuta delle fondamenta, avrebbe permesso all’acqua "di trovare minore resistenza". Secondo i consulenti, per i quali si è agito "con leggerezza", il tempo per rimediare c’era e un accurato studio idraulico avrebbe comportato maggiori costi – poi sostenuti in corso d’opera per chiudere le falle –, ma evitato il crollo dell’ottobre 2018, preceduto da fenomeni erosivi evidenti oltre un mese prima, quando si sarebbe tentato di chiudere la voragine con un tappo di argilla. Circostanza che il fronte difensivo della Regione, teso a scaricare le responsabilità sugli esecutori dell’impianto, smentisce: "Quel buco era aperto da dicembre 2017, a lavori conclusi".

Lorenzo Priviato