Faenza (Ravenna), 9 novembre 2024 - Il quadro, in quel negozio di Faenza della ’Mobili Dondi’ srl, per il tribunale era questo. “Insulti, atteggiamenti di prevaricazione, gogne davanti ai colleghi e minacce di sanzioni” sia “disciplinari che di licenziamento”.
E poi c’erano multe trattenute dalle buste paga “senza alcun procedimento disciplinare”. Inoltre agli addetti alle vendite “veniva imposto di lavorare in piedi” o al massimo di potersi “sedere talvolta sul divano con il cliente all’atto della vendita”. E di “fare le pulizie, bagni compresi”. Ma in questa vicenda, per singolarità, svetta una pratica su tutte: quella del “’mistery shopper’”, ovvero un “cliente-spione”, come l’ha definito il giudice del lavoro Dario Bernardi nella sentenza, depositata giovedì scorso, nella quale con una sola parola è stato sintetizzato il caso portato in tribunale da un ex addetta alle vendite dei divani, una ultra-cinquantenne faentina tutelata dagli avvocato Manuel Carvello e Silvia Dolcini: “mobbing”.
Per questa ragione la srl è stata condannata a pagare alla donna quasi 60mila euro tra danno differenziale e patrimoniale, spese mediche, compensi e altre voci. La società dovrà anche pagare 5.000 euro alla cassa delle ammende per “la gravità della condotta processuale” alla luce di una circostanza messa in rilievo all’inizio del dispositivo: “Le condotte in questione sono provate per tabulas: non è possibile comprendere la strenua resistenza negazionista financo delle evidenze documentali”. Da ultimo alla lavoratrice l’Inail dovrà versare circa 20mila euro in quanto il consulente del tribunale aveva concluso che a causa dell’accaduto la donna aveva riportato un “disturbo dell’adattamento con sintomi ansioso-depressivi”: una malattia professionale insomma. A questo punto Inail, tutelata dall’avvocato Gianluca Mancini, potrebbe aprire un’azione di rivalsa contro il datore di lavoro per il regresso della cifra da sborsare.
La donna era rimasta nella compagine dell’srl dal 2008 e fino al luglio 2021 quando, dopo un periodo di malattia, si era dimessa “per giusta causa”. Secondo il giudice, le condotte “lesive della dignità, della buona creanza nei rapporti umani e delle regolare contrattuali” erano state “continuative, per un lungo periodo e nei confronti di una pluralità di lavoratori”. Nette le mail nelle quali il titolare “sferza continuamente il personale con insulti e atteggiamenti provocatori”.
“Grazie a chi salta il giorno di riposo settimanale (...) - si legge in una mail del 21 agosto 2016 agli atti -. E non grazie a chi ha tanto rotto le palle per avere la pubblicità... e poi non fa nessun sacrifico (...)”. Il 5 luglio 2017 il tenore è analogo: “(...) la situazione è tragica, lavorando senza metodo vi state rendendo ridicoli (...)”. L’11 agosto successivo: “(...) Salottari svegliatevi e smettete di vendere un salotto come una cucina! Cucinieri completamente rincoglioniti sulle vendite dei salotti (...)”.
Gli errori si pagavano, alla lettera: la sola ricorrente di multe da 20 euro ne aveva ricevute 3: “Senza alcun procedimento disciplinare: un comportamento inammissibile” e “in violazione a ogni norma di legge e contratto”. E, a tali trattenute, “veniva pure data pubblicità in azienda” in “una sorta di gogna davanti ai colleghi”. La fonte di rapporti negativi poteva essere il mistery-shopper: un “elemento di controllo dell’azienda per verificare il comportamento del lavoratore dall’accoglienza al congedo del cliente”, come l’ha descritto un teste dell’ex area manager. Peccato che fosse una pratica di “illegittimità tout court” in violazione allo Statuto dei lavoratori. Cosa analoga per le pulizie, giustificate invece dalla difesa come “libere scelte organizzative imprenditoriali”. Ultimo capitolo, le non rassicuranti frasi da pandemia covid19: “Non so chi di voi verrà licenziato. Ci sarà una rivoluzione del personale, vi aspettano tempi terribili. Sono certo, dopo qualche telefonata con alcuni di voi, che abbiate i cervelli spenti”.