Ravenna, 3 dicembre 2024 – Nello stesso piatto c’erano un menù consigliato da uno chef pluristellato e un ristorante rivierasco che a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta era frequentato dal jet set ravennate. Ricetta potenzialmente da gourmet. Salvo rivelarsi indigesta per una coppia di origine cubana all’epoca residente a Marina Romea – lei 34 anni e lui 52, difesi dall’avvocato Massimo Pleiadi – ieri condannata dal tribunale a 4 mesi e 3.000 euro di multa a testa per uso in concorso tra il settembre e il dicembre 2019 di marchio registrato (la procura aveva chiesto 6 e 9 mesi).
La scottatura i due l’hanno presa ‘toccando’ il nome di Antonino Cannavacciuolo, chef capace di raggiungere il gotha culinario arrivando ad accumulare tra i suoi locali ben nove stelle Michelin e facendo da giudice in vari format televisivi di successo tra cui MasterChef Italia. Nello stesso processo figurava anche un 65enne bresciano (avvocato Marco Agosti) assolto “per non avere commesso il fatto”.
Si tratta dell’amministratore unico della società di Brescia che, secondo l’accusa, nel periodo in questione si era occupata della gestione del locale al centro dei fatti: il ristorante-pizzeria Saporetti di Marina di Ravenna. E qui si apre una storia nella storia: perché tra gli anni Ottanta e Novanta il ristorante che portava quel nome, era un punto di riferimento per chi voleva mangiare bene: basti pesare che l’imprenditore Raul Gardini era tra i suoi avventori. Una vita fa, un’altra Ravenna. Tanto che Cannavacciuolo nemmeno sapeva dove si trovasse ‘Saporetti. Almeno fino a quando, dopo avere raccolto le prime informazioni, si era seduto davanti ai carabinieri e, con voce baritonale, aveva scandito questa frase: “Non ho nessuna collaborazione con quel ristorante e non ne ho mai sentito parlare”.
La prima a segnalare allo chef il potenziale abuso, era stata una sua ammiratrice attraverso Facebook: il 9 settembre 2018 la donna gli aveva riferito di un volantino che a Marina di Ravenna pubblicizza la riapertura, il 14 di quel mese, del ristorante Saporetti “con menù di pesce e crudites curato dallo chef Antonino Cannavacciuolo”. In seguito era emerso pure un camion vela con la gigantografia del nostro accostata al nome del ristorante. E qui lo chef aveva calato sul tavolo già apparecchiato il suo acume partenopeo dando incarico alla segretaria di telefonare al locale rivierasco fingendosi cliente interessata.
Con tanto di conversazione registrata: “Buonasera volevo un’informazione, ho visto la vostra pubblicità per la riapertura di venerdì (…) ho visto che avrete un menù curato dallo chef”. L’uomo dall’altra parte del telefono: “Eeee… e abbiamo il menù curato da lui, perché a Mantova ci ha fatto la trasmissione con loro. Lui non sarà presente all’inaugurazione… in un futuro pensiamo… di fare… qualcosa con lui… in un futuro”. Lui invece era subito andato alla caserma più vicina alla sua residenza, la Stazione di Orta San Giulio (Novara) e ai militari l’aveva buttata giù dura: “Sono rimasto basito da questa situazione in quanto non ho nessuna collaborazione con il ristorante Saporetti”. E poi il suo marchio, depositato nel luglio 2017 all’ufficio Brevetti, non lo aveva mia concesso a nessuno. Erano scattate le indagini: e la 33enne aveva assicurato di avere ricevuto il menù in questione dalle manone di Cannavacciuolo nel 2016 durante il programma ‘Cucine da incubo’ quando lei gestiva un ristorante a Mantova. Nell’ultima udienza del 9 ottobre scorso Cannavacciuolo aveva ribadito: “Il marchio è registrato e non ne ho mai concesso l’utilizzo”.
La difesa dei coniugi cubani, che oggi gestiscono un locale a Reggio Emilia, ha già annunciato ricorso.