"Parliamo di 200 mila euro. Mi disse che Bazzoni non gli rispondeva più da quando gli aveva chiesto di restituire quei soldi, che si era fatto di nebbia".
Una nuova testimone, questa volta convocata dalla parte civile, ha aggiunto ulteriori elementi per ricostruire la vicenda che vede il commercialista nonché ex consigliere regionale di centrodestra Gianguido Bazzoni a processo con l’ipotesi di avere falsificato un testamento. Tutto ruota attorno al lascito, considerato da tutte le parti apocrifo, di Luigi Pini di San Pietro in Vincoli, a suo tempo amico del Bazzoni ed ex funzionario di banca morto ultra-novantenne il 7 giugno 2021. Il falso testamento prevedeva per il Bazzoni la remissione di debiti per ben 218 mila euro oltre a un podere e alla metà dell’ingente liquidità del defunto. Le ultime volontà (in realtà mai espresse) prevedevano anche la remissione di debiti per ulteriori 220 mila euro facendo così salire la cifra complessiva a quasi 440 mila euro. Ma delle sei persone che avrebbero potuto beneficiare di quel tesoretto, nessuna aveva accettato.
Nella tarda mattinata di ieri a prendere la parola davanti al giudice Cosimo Pedullà e al pm Monica Gargiulo, è stata Laura Basigli che da anni conosceva il defunto per via del lavoro. "Più o meno dal 2006", ha ricordato, quando "facevo titoli nella filiale di San Pietro in Vincoli di Unicredit". Poi lei aveva rivestito vari ruoli finché "quattro anni fa Luigi Pini divenne mio cliente. Era un personaggio abbastanza in vista a San Pietro in Vincoli: ogni cliente che entrava in banca, ne parlava per il supporto ricevuto in passato". In quanto al futuro del suo patrimonio, "ne parlavamo spesso: parte del mio lavoro è proprio fare progettazione su come sarà dopo di noi. So che voleva tutelare la figlia", parte civile con l’avvocato Stefano Spinelli, "e che aveva contattato varie persone per farsi restituire prestiti: voleva risolvere le questioni pendenti per lasciare alla figlia una posizione lineare". Secondo la testimone, non aveva "mai manifestato l’intenzione di rinunciare ai suoi crediti: ne aveva fatto anzi una questione personale verso qualcuno che si era fatto un po’ di nebbia dopo avere ricevuto un favore".
In particolare tra le ragioni del "suo malessere degli ultimi tempi, c’era il rapporto con Bazzoni: lo provò a chiamare davanti a me più volte ma l’altro non gli rispondeva più". E ciò "lo aveva molto turbato, ne soffriva: Bazzoni aveva frequentato molto il suo ufficio dove peraltro lo avevo visto pure io". Era stato "verso dicembre 2020 che Pini aveva iniziato a fare queste telefonate. Io gli dissi che magari era in ferie. E lui mi disse: ’non mi risponde più da quando gli ho chiesto indietro i soldi’.Se non ricordo male, parliamo di 200 mila euro: me lo riferì Pini". Per il resto, a Pini "spiegammo che non gli potevano dare informazioni su Bazzoni". A quest’ultimo "era stato chiuso un conto: non so perché, ma le deleghe erano decadute: Pini non poteva più avere informazioni su di lui". In quanto all’imputato, "la sensazione era che sfruttasse le conoscenze di Pini all’interno della banca. Penso che Bazzoni si fidasse di Pini così come tanti altri cittadini: poteva essere il suo riferimento per operazioni bancarie; i due potevano avere anche una relazione di amicizia; di lavoro direi di no".
Il giudice ha dichiarato chiusa l’istruttoria rinviando al primo aprile per la discussione. La difesa (avvocato Alessandro Vallese), ha già anticipato che "sosterrà la mancanza dell’elemento soggettivo ma anche di quello oggettivo, cioè il movente".
Andrea Colombari