Ravenna, 25 novembre 2018 - Alla fine ce l’ha fatta. Matteo Cagnoni è di nuovo a Ravenna. Nel carcere di via Port’Aurea, in una cella che condividerà con un altro detenuto. I cancelli della casa circondariale nella quale da tempo auspicava di tornare si sono aperti nella serata di venerdì. L’istanza di trasferimento dal più problematico e nel suo complesso opprimente carcere della Dozza di Bologna, promossa da uno dei suoi legali, l’avvocato Chiara Belletti, è stata accolta.
La pratica era stata indirizzata direttamente ai vertici romani del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che ha dato parere favorevole. O meglio, il Dap non si è opposto e, spiega il legale, «ha condiviso le motivazioni dell’istanza e deciso di autorizzare il provvedimento di trasferimento. Non ho ancora visto Matteo Cagnoni, ma penso sia soddisfatto, gli avevo chiesto di avere fiducia e ha fatto bene ad averla. Le istituzioni hanno dimostrato grande umanità nel condividere questa richiesta, hanno lavorato applicando la legge».
Le richieste erano incentrate sulla sulle condizioni di particolare disagio che il medico – a giugno condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio pluriaggravato della moglie 39enne Giulia Ballestri che voleva la separazione – stava vivendo a Bologna, dove gli attacchi di panico si sarebbero acuiti e veniva tenuto sotto stretta sorveglianza, anche con l’aiuto di psicologi. L’altra motivazione è legata ai contatti con i familiari. Il suo legale spiega che dal giorno del trasferimento nel carcere emiliano, che risale al 3 agosto scorso, non aveva più visto i genitori, i colloqui alla Dozza sono molto difficoltosi in quanto il carcere è molto affollato, così poteva sentirli solo al telefono. In questo modo si potrà concretizzare la volontà del padre e della madre di trasferirsi da Firenze nella casa ravennate di via De Gasperi, quella in cui per lungo tempo Cagnoni ha chiesto, invano, di potere ottenere i domiciliari.
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Il trasferimento a Bologna – che aveva preso malissimo – era arrivato in estate dopo che inizialmente il dermatologo aveva ottenuto dal Prap, il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, l’ok a restare nel carcere della sua città d’adozione, e questo a fronte di una prassi che vuole detenuti condannati per reati gravi subito spostati in strutture più idonee. Ora, dopo 112 giorni trascorsi alla Dozza, è tornato a Ravenna. E il trasferimento ha ottenuto il nulla osta del Tribunale attraverso l’attuale presidente di Corte d’assise. Un meccanismo inusuale, il ritorno di detenuti ‘eccellenti’ al carcere di partenza, che almeno a memoria di chi scrive a Ravenna non ha precedenti.