REDAZIONE RAVENNA

Marini-Fayat, scatta la cassa integrazione

Alfonsine, da settembre 145 dipendenti saranno pagati la metà per 6-8 giorni. I timori dei sindacati: "Un problema per le famiglie"

La sede dell’azienda Marini-Fayat ad Alfonsine, dove è stata fondata nel 1899

La sede dell’azienda Marini-Fayat ad Alfonsine, dove è stata fondata nel 1899

Una cassa integrazione che preoccupa quella che scatterà a partire dal prossimo 2 settembre alla Marini-Fayat Group di Alfonsine. Il provvedimento richiesto per tre mesi, fino alla fine di novembre, interesserà in totale 145 dipendenti, ovvero 48 operai e 97 impiegati, pari a circa la metà dei 287 – dirigenti esclusi – che lavorano nello stabilimento. Negli anni la Marini, realtà storica del territorio, leader - come si legge nel sito aziendale - nella produzione di impianti per conglomerati bituminosi, ha fatto ricorso a più riprese allo strumento della cassa integrazione per affrontare le fluttuazioni del mercato di riferimento. Diversamente dalle precedenti, però, quella che partirà fra pochi giorni si inserisce in un quadro di incertezza generale che affligge le prospettive future relative alla produzione e – di conseguenza - alle sorti dello stabilimento che, da 20 anni a questa parte, si è ridimensionato – spiegano le sigle sindacali – di circa 200 unità per effetto di prepensionamenti e dimissioni non sostituite.

"Purtroppo come altre aziende in Provincia, anche Marini ci ha convocato per aprire la cassa integrazione nella divisione impianti dal 2 settembre al 30 novembre, che impatta per certo 6-8 giorni per il mese di settembre – spiega Ketty Samorì, della Fiom Cgil provinciale –. La grande preoccupazione espressa, anche dai lavoratori, è che al momento non c’è una previsione di giornate per ottobre e novembre, quindi con l’attuale inflazione l’impatto sugli stipendi dei lavoratori, soprattutto in questa incertezza, ci preoccupa".

Insieme, le sigle sindacali della provincia, Fiom Cgil, Uilm e Fim Cisl, hanno aperto lo stato di agitazione con blocco di straordinari e flessibilità. "Gli operai si chiedono, alla luce dei ridimensionamenti e delle incertezze legate alla produzione, quale futuro ci sarà per lo stabilimento – sottolinea Marco Riciputi, segretario provinciale Uilm –. Nelle giornate di cassa integrazione i dipendenti percepiscono 8 euro all’ora a fronte di una paga regolare di 15 euro all’ora. Si tratta di circa la metà della retribuzione ed è un problema per le famiglie. Per questo è stato anche chiesto all’azienda di non utilizzare più, come succede ora, personale esterno per fare in modo che tutto il lavoro venga svolto dagli interni. L’azienda ci ha risposto, giusto ieri, che entro la fine di settembre sostituirà gradualmente i facchini esterni con personale proprio".

Il prossimo incontro fra azienda e sindacati, chiesto anche per verificare l’applicazione di un’equa turnazione fra gli operai nell’ambito della cassa integrazione, è previsto per il prossimo 20 settembre. "Abbiamo sottoposto all’azienda altri suggerimenti per ridurre i costi in questo momento difficile per i dipendenti, come ad esempio, limitare i benefit elargiti ai dirigenti – aggiunge Davide Tagliaferri della Fim-Cisl –. Noi non abbiamo delegati sindacali diretti all’interno dell’azienda, ma seguiamo comunque la vicenda. C’è da dire che Marini è sempre stata sempre disponibile al dialogo e al confronto. È vero anche che, in linea generale, se un tempo le aziende riuscivano a fare piani di sviluppo di medio periodo, a 5 anni, ora al massimo riescono a farlo a 6 mesi, per ciò che sta accadendo da qualche anno a questa parte fra Covid e guerre. Noi comunque continuiamo a monitorare la situazione e a chiedere risposte".

Resta alta la preoccupazione dei dipendenti, angosciati dalla possibilità che lo stabilimento possa chiudere. "Lavoro in Marini da 20 anni – spiega Matteo Foschini –. Ho 52 anni. Se la Marini ad Alfonsine chiude, dove vado a lavorare?"

Monia Savioli