Ravenna, 22 dicembre 2024 – A volte la realtà stupisce, perché ci riserva storie belle quasi come quelle dei film a lieto fine.
Una famiglia di Ravenna, padre, madre e due bimbi piccoli, si è ritrovata da un giorno all’altro a dover affrontare una malattia di cui non aveva, fino a quel momento, neanche sentito parlare, la sindrome di Guillain-Barré, in pratica una paralisi degli arti che si può manifestare improvvisamente.
Ad esserne colpito è il figlio grande, di 3 anni, che a fine ottobre, dalla sera alla mattina, non ha più l’uso delle gambe.
“Era il 21 ottobre – racconta la madre – e il giorno prima nostro figlio era come sempre, giocava, si muoveva, faceva quello che aveva sempre fatto. Il giorno dopo non riusciva più a camminare. Il 23 lo abbiamo portato al pronto soccorso, dove gli hanno inizialmente diagnosticato un raffreddore dell’anca, quindi siamo tornati a casa”.
Nei giorni successivi la situazione peggiora e il bambino soffre tantissimo. “Durante il giorno – continua la donna – era completamente privo di forze e non si muoveva, la notte però il dolore era fortissimo e lui non sapeva più come fare, non riuscivamo a riconoscerlo, non era più lui”.
A quel punto, il 25 ottobre, ritornano in ospedale dove si rendono conto che non può trattarsi di raffreddore dell’anca, Così il bambino viene ricoverato e sottoposto a una serie di esami. “Siamo rimasti in ospedale per diciotto giorni – racconta la mamma – durante i quali nostro figlio ha fatto molti esami, tra cui due risonanze e una rachicentesi, in seguito alla quale gli viene diagnosticata la sindrome”.
Inizia la terapia per cercare di rallentare e bloccare il decorso, trascorrono i giorni nel reparto di pediatria e il bimbo migliora sempre più.
“In ospedale – osserva la donna – non ci siamo mai sentiti soli. Infermiere, medici sono stati professionali e gentili. Il direttore, Federico Marchetti, era attento e scrupoloso e, soprattutto, ci ha sempre ascoltati, anche se eravamo genitori spaventati, e non ha mai messo in dubbio la nostra parola”.
Per questo decidono di scrivere al primario una lettera di ringraziamento per la dolcezza e l’umanità con cui si è sempre rivolto a loro. “Le persone che non mettono in dubbio le parole di genitori spaventati sono rare. Ci siamo sentiti nel momento giusto, al posto giusto, con le persone giuste”, scrivono.
“Nostro figlio – ricorda la signora – ormai dopo tanti giorni di ricovero conosceva tutti. Trascorreva le giornate nella stanza dei giochi, una salvezza per lui, e per questo ringrazio Agebo, e poi giravamo per l’ospedale. A lui piaceva l’ascensore, così andavamo alla ricerca di quelli che si potessero utilizzare. Aveva dei cerotti con i supereroi che a un certo punto sono finiti. Un giorno è arrivata in reparto la ragazza che lavora al bar dell’ospedale, cercava il bambino che ogni tanto andava da lei a fare colazione e che le aveva raccontato di non avere più i suoi cerotti. Glieli aveva comprati e portati”.
Quando il bimbo esce dalla stanza vuole sempre indossare una mascherina di supereroi per non farsi riconoscere e non farsi catturare per essere sottoposto a nuovi esami.
“Con la mascherina – conclude la madre – sentiva di avere dei super poteri. Siamo tornati a casa e nostro figlio ha ripreso a frequentare l’asilo, anche se non a tempo pieno. Non esiste una cura per questa malattia che è autoimmune. Le flebo di immunoglobuline possono accelerare il processo di recupero. Lo stesso vale per la fisioterapia che nostro figlio continua a fare al Cmp. Ora cammina e corre, anche se in alcuni giorni è un po’ stanco. Siamo felici di vederlo di nuovo così, ma stiamo sempre sull’attenti”.