CARLO RAGGI
Cronaca

L’uomo che insegue le stelle: "Affascinato dall’astronomia, portai il telecoscopio nelle strade"

Paolo Morini e una vita dedicata alla sua grande passione: "Tutto cominciò con l’allunaggio del 1969. Con altri amici ci trovavamo all’oratorio di padre Lambertini, dietro San Francesco, un luogo incantato"

Paolo Morini: in mano ha il binocolo, e anche nella foto sotto da bambino (Foto Zani

Paolo Morini: in mano ha il binocolo, e anche nella foto sotto da bambino (Foto Zani

Ravenna, 6 ottobre 2024 – Aveva dodici anni quando Neil Armstrong e Buzz Aldrin misero piede sulla luna e l’evento segnò la sua passione, l’astronomia, mentre il piacere di manovrare i numeri segnò la professione, ingegnere meccanico. A 16 anni Paolo Morini era nel gruppo di ragazzi che il 14 febbraio 1973 con padre Giovanni Lambertini e don Guerrino Molesi fondarono l’Arar, l’Associazione Ravennate Astrofili Rhyeta, che oggi conta 115 aderenti, di cui da anni è vice presidente e punto di forza della doppia finalità dell’associazione, divulgativa e osservativa, che si esplica non solo al Planetario, che Arar gestisce, ma in strada, nelle scuole, in primo luogo il liceo scientifico e nel proprio osservatorio a Bastia e che si avvale della collaborazione di professioniste dell’astronomia come le astrofisiche ravennati Daria Dall’Olio e Arianna Cortesi.

Un giovanissimo Paolo Morini
Un giovanissimo Paolo Morini

Nonostante Hubble e Webb, la piccola astronomia da terra suscita ancora interesse, vero?

"Sì perché la gente rimane esterrefatta da ciò che vede nell’oculare di un nostro telescopio, peraltro medio piccolo. Le nostre osservazioni riguardano la Luna e i pianeti non troppo lontani: Venere, Marte, Giove, Saturno. Mentre le immagini che sono in Rete riguardano galassie quasi ai limiti del Big Bang, tutt’altra cosa. Il cielo che osserviamo noi è quello che sommariamente conosciamo fin da bambini. E il telescopio fa toccar con mano visioni spettacolari, come gli anelli di Saturno o le nuvole di Giove".

Lo spazio affascina ancora…

"A me, che essendo nato a fine settembre del 1957 sono ancora dell’era non spaziale, iniziata con lo Sputnik il 4 ottobre, ha segnato l’orizzonte della passione: all’indomani dell’allunaggio del 20 luglio 1969 andai alla cartolibreria Lavagna a chiedere un libro sulla Luna. Ce l’ho ancora…".

Fermiamoci a quei tempi, mi dica dei suoi genitori…

"Il babbo, Giacomo, era operaio alla Sarom, mentre la mamma, Ida Mazzesi, fu uno dei primi dirigenti comunali donna, erano gli anni Cinquanta, era capo ufficio del personale, conosciutissima…".

Quando arrivò il primo telescopio?

"Nel 1970 come regalo per la promozione all’esame di terza media. Costò 59mila lire e l’ottica non era proprio eccellente. Ma a me bastava. Mi permetteva di essere al passo con gli altri ragazzi che erano appassionati come me di astronomia: ci trovavamo ogni giorno al laboratorio di padre Lambertini, dietro San Francesco, un luogo incantato: a piano terra c’era la bottega dello scultore Casadio che era stato in trincea con mio nonno nella Grande Guerra, al primo piano i radioamatori, al secondo un lungo corridoio con tante stanze…".

Il regno di padre Lambertini, un grande scienziato.

"C’era la stanza dei presepi meccanici, la stanza delle radio, quella delle macchine elettriche e quella del telescopio, l’osservatorio vero e proprio. Furono lui e don Molesi a dirci che era tempo di fondare un’associazione con lo scopo di compiere studi scientifici di astronomia e di fare divulgazione visto il grande interesse che le imprese spaziali suscitavano sempre più…".

E così fu…

"Proprio così e il 14 febbraio 1973, io e altri ragazzi, avevamo ormai 15-16 anni, assieme ad adulti come il farmacista Ascanelli, il professor Righini, Lambertini e Molesi, fondammo l’Ara. Primo presidente fu Marciano Righini. Fu don Molesi a proporre poi all’associazione il nome di Rheyta, un cappuccino boemo, astronomo e inventore, che visse a Ravenna gli ultimi anni di vita, nel Seicento. E così fu Arar. La sede era all’oratorio di via Guidarelli, c’era un ciclostile ad alcool e lo usavamo per stampare il bollettino".

Nel giro di un anno fu allestito l’osservatorio a La Spreta…

"Con un telescopio da trenta centimetri di diametro e munito di motore sincronizzato con il moto della terra dando così la possibilità di fare osservazioni e scattare foto con tempi prolungati. All’inaugurazione, il 28 settembre 1974, c’era anche l’assessore alla cultura, Giovanna Bosi Maramotti. Il Carlino fece un grande articolo che è stato riprodotto nel libro dedicato ai 50 anni dell’Arar. Adesso l’osservatorio è a Bastia, lo gestiamo da remoto e fa parte di una rete nazionale di osservazione".

Che attività svolgete?

"Ad esempio in collaborazione con la moschea di Roma, con l’Istituto di astrofisica e l’Unione astrofili italiani faccio parte di un progetto nazionale per l’individuazione del primo spicchio di luna nuova, fondamentale per i tempi del Ramadam…".

Lei poi ha abbandonato per un po’ l’astronomia…

"All’avvio dell’università, mi ero iscritto a ingegneria meccanica, fin da bambino mi appassionavano i numeri. Non c’era tempo se non per lo studio. Poi dopo la laurea il militare, il matrimonio con Rossana, la nascita di Silvia, il lavoro, disegnavo macchine per la lavorazione dei tubi di plastica. Carta lucida, china, tecnigrafo i miei strumenti da lavoro, preistoria rispetto ai computer d’oggi".

Quando è tornato… fra le stelle?

"A metà degli anni 90, già avevo lasciato il lavoro in azienda e mi ero messo in proprio e quando nel marzo del 1996 la cometa Hyakutake fu visibile dalla Terra, decisi di comprare un buon telescopio, costò oltre due milioni di lire. E ben presto riempii la casa di altri libri e riviste di astronomia: stava riesplodendo il fuoco per la volta celeste… Da 11 anni peraltro era operativo il Planetario e così fu semplice rientrare nel giro. Padre Lambertini non era più a Ravenna, nel 1982 l’avevano mandato a Faenza dove poi morì nel 1997".

E proprio al Planetario lei inaugurò la sua nuova veste, quella di divulgatore…

"Mi stimolò Marco Garoni, responsabile del Planetario e presidente di Arar e così nel 2003 tenni la prima conferenza, su Marte: era l’anno in cui il pianeta rosso si mostrava dal punto più vicino alla Terra. Peraltro grazie al Planetario si andava ancor più diffondendo l’interesse della gente per l’astronomia e così come Arar decidemmo di portare il telescopio nelle strade".

L’astronomia da marciapiede, come era in voga negli Usa.

"La gente passa, butta un occhio all’oculare, quello è Saturno, quello è Giove, non facciamo lezioni ma solo informazione…meglio, condivisione di visioni…, in città in inverno, sui lidi in estate…così la gente vede cose che diversamente non vedrebbe…i telescopi costano! Poi ci sono le osservazioni al Planetario, gli incontri, l’annuale corso di astronomia; abbiamo un rapporto molto proficuo con il liceo scientifico, i ragazzi sono ben consci di quanto incida sulla Terra ciò che accade in cielo, ad esempio le tempeste solari che possono mettere in crisi le reti mondiali di comunicazione, i sistemi informatici".

Quanto la tecnologia ha cambiato l’osservazione del cielo? "Completamente. Pensi che ci sono telescopi senza oculare. Basta selezionare l’area del cielo, la macchina si punta da sola e fa vedere su uno schermo ciò che hai chiesto…".

Nell’opera di divulgazione di Arar collaborano anche due astrofisiche ravennati…

"Certo, Daria dall’Olio che porta avanti il suo progetto di divulgazione sviluppato a Ravenna assieme a Linea Rosa, il Planetario amico delle donne, e Arianna Cortesi, dell’università di Rio de Janeiro".