
"Lottai con lui, ma non lo uccisi". Guerrini rievoca la lite con Rinelli, che morì poco dopo
"Non so perché Antonio Rinelli sia morto, non certo per quello che gli ho fatto io!" Potrebbe essere sintetizzata così la deposizione di Mirko Guerrini, 47 anni, residente nei lidi ravennati come il suo rivale in amore, deceduto al termine della colluttazione avvenuta nella notte fra il 7 e l’8 aprile 2019 a San Mauro Mare, in via Orsa Maggiore. Mirko Guerrini ha parlato per un’ora e mezzo ieri in tribunale a Forlì davanti al giudice monocratico Marco De Leva che dovrà giudicare se sia responsabile di eccesso colposo di legittima difesa, l’imputazione alla quali si è arrivati dopo un acceso confronto fra procura della Repubblica, che inizialmente aveva chiesto l’archiviazione del procedimento ritenendo che Guerrini avesse agito per legittima difesa, e gli avvocati Fabio Anselmo e Alessandra Pisa, che rappresentato i famigliari di Antonio Rinelli che si opposero all’archiviazione, chiesero ulteriori indagini e ottennero il rinvio a giudizio.
L’udienza di ieri è stasta dedicata quasi interamente all’interrogatorio dell’imputato Mirko Guerrini, l’uomo ha raccontato che Manuela Castriotta, la donna contesa fra i due uomini, aveva interrotto la relazione (nata nelle balere del liscio romagnolo) con Antonio Rinelli poiché questi era troppo possessivo, e si era legata a lui. Rinelli però non si dava per vinto e continuava a inondare di messaggi, alcuni dei quali con tono minaccioso, i telefonini della donna e dei suoi amici e amiche affinché abbandonassero Manuela, pensabdo che così sarebbe tornata da lui. Ciò però non avvenne e la sera del 7 aprile Antonio Rinelli si presentò sotto casa della Castriotta a San Mauro Mare, parcheggiando l’auto proprio davanti al cancello d’ingresso. Quando la donna e Mirko Guerrini uscirono per depositare il sacco dell’immondizia nel cassonetto, Rinelli aggredì Guerrini.
"Me lo trovai addosso all’improvviso – ha raccontato Guerrini –, lui era più grande e grosso di me e mi colpiva con pugni a ripetizione sul capo. Cercavo di difendermi, ma lui mi morse il pollice destro serrandolo fortissimo fra i denti, io caddi all’indietro e lui mi fu addosso colpendomi con un punteruolo o un coltello con la lama corta, cercava di colpirmi agli occhi, alla fine avevo dodici ferite al capo e due vicino a un occhio. Manuela cercava invano di fermarlo e chiamava i carabinieri. Quando eravamo a terra riuscii a capovolgere la situazione mettendo sotto lui che però non mi lasciava il dito, mi tranciò i tendini causandomi dolori lancinanti. La colluttazione durò circa venti minuti, alla fine lui, cercando di divincolarsi, finì pancia a terra così io gli stavo sopra e gli premevo una scapola mentre lui non mi mollava il dito. Quando eravamo entrambi stremati lui allentò la presa facendo un sospiro, io mi alzai, mi sembrava che respirasse, raggiunsi Manuela e poco dopo arrivò l’ambulanza che mi portò all’ospedale". "Seppi che Antonio Rinelli era morto – ha concluso – solo il mattino dopo, nel reparto di rianimazione dell’ospedale Bufalini, dai due carabinieri che mi piantonavano".
Paolo Morelli