
L’incontro a Ravenna di Re Carlo III, la regina Camilla e Mattarella con i partigiani
Ottant’anni fa, la Liberazione. In Romagna, Rimini il 20 settembre 1944, Russi il 3 dicembre, Ravenna il 4 dicembre, Traversara l’11 dicembre, Bagnacavallo il 21 dicembre. Poi la lunga stasi invernale con le forze alleate attestate sull’incerta linea del Senio: canadesi, inglesi, neozelandesi, nepalesi, polacchi, indiani, australiani, sudafricani, a cui si affiancano gli italiani del Corpo di Liberazione e la Brigata ebraica. Il 9 aprile 1945 la spallata finale, lo sfondamento: Lugo, Barbiano, Cotignola, liberate il 10 aprile, Bologna il 21. Sempre, la presenza partigiana, la Resistenza, quella con l’erre maiuscola, come la Storia: i socialisti delle brigate Matteotti, i comunisti delle brigate Garibaldi; quelli di Giustizia e Libertà che si riferivano al partito d’Azione, le Fiamme Verdi al cattolicesimo, i monarchici e i liberali – chiamati anche badogliani perché ispirati dall’esperienza partigiana di Beppe Fenoglio – nelle formazioni Azzurre. Resistenza e Storia possiedono una caratteristica in comune: hanno resistenze e storie minori, silenziose, ma non certo meno importanti. Ci fu chi decise di prendere le armi – all’inizio soldati del Regio Esercito rientrati dalla Russia o rimpatriati dal sud della Francia – e chi compì, prima e dopo, scelte di resistenze che hanno lo stesso valore e accrescono notevolmente il movimento resistenziale.
Penso agli oltre 650.000 internati militari italiani – nient’altro che i militari catturati dopo l’8 settembre su tutti i fronti di guerra – che non aderirono alla RSI e restarono, in condizioni di schiavitù, prigionieri in Germania; ai reali carabinieri che si opposero, pagando con la deportazione e sovente con la vita; a chi nascose ebrei e disertori; a chi, dopo l’8 settembre, fornì abiti civili ai militari italiani, favorendone la fuga. Penso ai religiosi che sostennero la Resistenza, alle donne - spesso ragazze - che decisero di appoggiare chi combatteva ponendo le basi per una parità di diritti sino ad allora negata. Penso agli ebrei, italiani e stranieri, ai Sinti e ai Rom, che scelsero la Resistenza. Ma non è tutto.
La Storia, se studiata con curiosità, senza paraocchi, riserva sempre sorprese. Sulla lapide collocata al museo di Ca’ di Malanca – una delle troppe che nel nostro territorio ricordano martiri, eccidi, esecuzioni sommarie – dedicata alla battaglia di Purocielo, mi ha sempre destato curiosità vedervi i nomi di tre austriaci oltre a quattro sovietici e un cecoslovacco. Dei sovietici sapevo essere arrivati in Italia come truppe ausiliarie, degli austriaci scopro l’episodio poco noto della Storia: i diecimila disertori della Wehrmacht che s’unirono alle unità partigiane. Ecco come la storia resistenziale italiana si allarga, aumenta, diviene espressione di popoli, uscendo da quel ghetto dove a volte si tenta di rinchiuderla, riducendola a scelta d’esigua minoranza. La lotta al fascismo, va detto, inizia subito, nel 1919: persone che per ventisei anni lottarono e morirono opponendosi al regime. Persone come i Tambini di Bagnacavallo, i Zanzi di Cotignola, per citarne alcune: scelte individuali, come fu quella di Gino Bartali di occultare nel telaio della bicicletta i documenti falsi per gli ebrei. Molte di queste persone hanno pagato quelle scelte, compiute in piena consapevolezza dei gravi rischi che avrebbero corso. Grazie a loro, il 27 dicembre 1947 è nata la nostra Costituzione, con i suoi princìpi di libertà e democrazia. La libertà è un bene che si difende ogni giorno: è nostro dovere oggi, domani, sempre, difendere questa Costituzione perché, come diceva Calamandrei, "la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando inizia a mancare".