Ottant’anni fa, il 27 novembre del 1944, Ravenna alla vigilia della Liberazione scriveva una delle pagine più drammatiche della sua storia, la strage nazista in località Madonna dell’Albero che costò la vita a 56 civili. La strage probabilmente fu la risposta delle SS alla morte di un soldato tedesco e dunque si trattò di una rappresaglia anche se Enzo Tramontani nel suo libro “La morte quotidiana” (Longo Editore) avanza altre ipotesi. Resta comunque il gesto crudele e spietato che Tramontani racconta in tutti i dettagli. La strage inizia poco dopo il mezzogiorno di lunedì 27 novembre quando quattro soldati tedeschi uccidono senza misericordia Attilio Rivalta, 39 anni, che era uscito di casa per far loro “buon viso”. Poco dopo i Ricci e i Pondi, che vivevano sotto lo stesso tetto e che stavano a tavola, vengono condotti nell’aia e sterminati in pochi secondi. I quattro continuano il loro rastrellamento e dopo aver radunato alcune famiglie all’interno di un capannone fanno fuoco. Alla fine di questo assurdo eccidio restano a terra 56 civili. Uno solo, Mario Mazzotti, scampa alla strage perché durante le raffiche era caduto in una buca e fu coperto dai cadaveri. Tramontani, nel suo racconto, annota questo particolare. L’anarchico Fabio Melandri fu raggiunto dalle raffiche mentre stava leggendo “La vita di Cristo” di Giovanni Papini. Era solito scrivere commenti a margine delle pagine e nel libro che fu trovato ai suoi piedi si leggeva il commento: “Chi regnò dopo apparso Gesù?... I giusti forse? O i criminali?”. Dieci giorni prima dell’eccidio si registrò un’altra triste storia. Il 17 novembre il giovane parroco di Madonna dell’Albero, don Mario Turci (foto), viene sorpreso da una pattuglia tedesca mentre segnala con dei rametti sempreverdi i punti in cui potevano essere nascoste delle mine, in gergo chiamate “pentolacce”. Il giorno prima, infatti, Domenico Marzaloni di 19 anni, uno dei ragazzi che frequentava la parrocchia, era stato dilaniato dallo scoppio di una mina e don Mario, incurante del pericolo cui andava incontro, voleva evitare che altri facessero la stessa fine. Al grido di “Prete Partizan!” don Mario fu portato verso l’argine dei Fiumi Uniti e di lui non si seppe più nulla. Quarant’anni dopo Enzo Tramontani trovò tra le carte dell’Archivio militare tedesco di Friburgo una nota in data 17 novembre 1944 che parlava di un prete ucciso come sabotatore perché sorpreso in località Molinaccio a segnalare alcune mine. Nel 1954 a don Turci fu conferita la Medaglia d’oro alla memoria.
Franco Gàbici