PAOLO
Cronaca

La storia sotto l’albero. La vigilia col febbrone del brigadiere Evaristo

Era la ’févra magnaröla’, si risolveva in una settimana di letto caldo quando fuori era freddo. Ma quella sera udì bussare dabbasso. Era don Ramazzotti. Cosa poteva volere da lui? .

Era la ’févra magnaröla’, si risolveva in una settimana di letto caldo quando fuori era freddo. Ma quella sera udì bussare dabbasso. Era don Ramazzotti. Cosa poteva volere da lui? .

Era la ’févra magnaröla’, si risolveva in una settimana di letto caldo quando fuori era freddo. Ma quella sera udì bussare dabbasso. Era don Ramazzotti. Cosa poteva volere da lui? .

CasadioPerché quel giorno di vigilia natalizia si sentisse così invornito, il brigadiere in quiescenza Evaristo Venturoli non lo capiva. Al nebbione c’era abituato, alla galaverna pure, all’umidità finarlina che trapassava lane e fustagne anche, e infatti si ciotava ben bene. Poi bastava qualche bicchiere di sangiovese e il motore andava in temperatura meglio di un Landini, e la giornata prendeva il suo verso. Macché. Persino all’osteria, mica aveva voglia di sentire le gnole di Pularùla, l’allevatore di galline del Maccalone. Già sopportare quel lezzo di pollina picicato indosso era un esercizio di resistenza, ma sorbirsi il ragnare continuo, il lamentarsi del pidocchio rifatto ecco, non gli riusciva proprio.

Pularùla s’era arricchito con quella nuova moda dei girarrosto che a Ravenna spopolava, s’era fatto lo stomaco a cappotto e non ne aveva mai basta. E qualcuno sosteneva - di sparaguai, s’intende - che quel pollame mangiasse anche frumentone, che era poi come dire che il vino si fa anche con l’uva: insomma, s’intuivano frodi. Pularùla - un omarlino abbrustolito dal sole e dal freddo - pontificava e sentenziava su tutto, dal lancio dei satelliti artificiali alle malattie veneree. Uno scibile umano, una somma d’ovvietà che al brigadiere in quiescenza Evaristo Venturoli principiò a stimolare sommovimenti intestinali.

Il problema, in quel giorno gelido di vigilia natalizia, era la sgradita persistenza dei suddetti sommovimenti assai prima e assai dopo le chiacchiere dell’allevatore che, a quel punto, non ne portava colpa. Arrivò a casa di priscia e chiappe strette, si tolse veloce il paltò e la giacca e poi via in bagno, appena in tempo. La rincasata anticipata e il corricorri insospettì la signora Venturoli.

"Non stai bene?" s’informò davanti alla porta del servizio. "Squizzo come un zàcolo e ho freddo". "Ti sarai magari preso l’influenza?" Sgonda me l’è févra magnaröla. Perché, in fondo, la febbre era la più dolce, la più felice delle indisposizioni. Si risolveva in una settimana di letto caldo quando fuori picchiava la galaverna e spesso la neve: una settimana in cui sua moglie gli portava il Carlino, lo colmava di attenzioni, brodini, biancomangiare e cataplasmi.

La signora Venturoli applicava con rigore e illimitata fiducia l’intero ambaradan dei rimedi tradizionali che, nel caso in questione, prevedeva impacchi caldi di semi di lino sul petto. Sulla traduzione in gradi Celsius dell’aggettivo ’caldi’ occorreva però essere tolleranti. Venturoli – almeno sino a un certo punto – lo era. Superato il ’certo punto’, non lo era più e iniziava il supplizio. Comunque fosse si svestì, indossò il pigiama di flanella e si ficcò a letto, coprendosi ben bene con l’imbottita. Udì bussare dabbasso, i passi pesanti della moglie che scendeva la scala, l’uscio che s’apriva, la voce che gli parve quella di don Ramazzotti. Poi ancora i passi a salire i gradini e la faccia inzurlita del parroco sbucare dalla porta. Venturoli già sentiva il conforto del primo tepore del letto e si slungò come un gatto. "Sono venuto per la benedizione natalizia…". Era una benedizione particolare, impartita solo a poche famiglie, a cui non si poteva sfuggire.

Mentre il prete zavagliava la breve ma sentita orazione, Venturoli si sentì d’improvviso baciato dalla fortuna: quella febbre gli risolveva tutti gli obblighi del periodo, ovvero visite di cortesia, doveri parentali e partecipazione a cerimonie religiose, offrendogli giorni di autentica vacanza dal mondo. Avrebbe avuto solo il rimpianto di non poter ciccare il suo amato sigaro, ma poco male. "Mi raccomando, brigadiere, ricordate una preghiera a Gesù Bambino e riguardatevi…". "State tranquillo, reverendo" e, salutando il parroco, allungò la mano al libro che teneva sul comodino: ‘Il compagno don Camillo’. Era fresco di stampa. Al brigadiere piaceva quel ’mondo piccolo’ che tanto gli ricordava Piangipane, le eterne baruffe tra opposte fazioni politiche, e ringraziò il regalo inaspettato della febbre magnaröla.