REDAZIONE RAVENNA

"La raffineria Alma Petroli produca la relazione su suolo e falda"

La sentenza del Tar dopo la richiesta di annullamento del decreto ministeriale che spiegava come redigerla

"La raffineria Alma Petroli produca la relazione su suolo e falda"

Il fatto che l’impianto in questione “non concorra alla contaminazione” ambientale, non toglie “l’obbligo del gestore di presentare la “relazione di riferimento”. Ovvero un documento che contenga informazioni attuali sulla qualità del suolo e delle acque sotterranee in merito alla possibile presenza di sostanze pericolose: ciò permetterà di capire se, al momento della cessata attività, vi sarà obbligo di ripristino dell’area. Una decisione, quella presa dal Tar del Lazio, che riguarda da vicino Ravenna: l’impianto al centro del braccio di ferro amministrativo, è infatti la raffineria di idrocarburi dell’Alma Petroli spa, struttura specializzata – si legge nella sentenza pubblicata mercoledì scorso – nella produzione di bitumi di alta gamma per usi stradali e industriali. Come tale, è soggetta ad alcune norme di settore: vedi l’autorizzazione integrata ambientale (Aia). Il sito sul quale sorge la raffineria, è inoltre sotto bonifica.

Con nota del marzo 2016, il ministero dell’Ambiente aveva avviato il procedimento per esaminare la relazione dell’Alma Petroli datata dicembre 2015 rispetto allo specifico decreto del 2014 che fissava le “modalità di redazione”. Il decreto era però poi stato annullato e così il vaglio sulla relazione era stata sospeso. Almeno fino all’ottobre del 2019 quando, grazie a uno specifico decreto ministeriale, era entrato in vigore un nuovo regolamento. A questo punto la spa aveva fatto ricorso sia contro il ministero che contro la Regione Emilia-Romagna per chiedere l’annullamento del decreto ministeriale. In buona sostanza Alma Petroli lamentava un’applicazione errata delle linee guida in materia vergate dall’Unione Europea; ma anche – tra le altre cose – disparità di trattamento, irragionevolezza e violazione del principio per il quale chi inquina paga. Per i giudici romani tuttavia il ricorso “non è fondato e va respinto”. Il decreto del 2014 – si legge nella sentenza –, in attuazione a una direttiva del Parlamento Europeo e in modifica di una precedente norma del 2006, aveva introdotto l’obbligo per i gestori di impianti Aia di redigere una relazione di riferimento qualora l’attività comportasse produzione, uso o scarico di sostanze pericolose alla luce della possibilità di contaminare suolo o falde. Lo scopo, come già fissato nella precedente legge, era quello di fornire informazioni sulla qualità di terreno e acque in relazione alle sostanze pericolose per un raffronto con lo stato delle cose al momento della chiusura dell’attività.

Con il decreto del 2019, l’obbligo di stilare la relazione era stato esteso a determinate categorie di impianti, raffinerie comprese, con i conseguenti oneri e costi. “Del resto – hanno precisato i giudici – nella prospettiva della legislazione ambientale, la tutela preventiva ha carattere necessariamente prevalente rispetto alla tutela ripristinatoria”. E su questo terreno, “l’iniziativa economica e la concorrenza debbono entrare in un necessario e ragionevole bilanciamento con il ‘bene ambiente’”. La norma europea “pone un vicolo di scopo allo Stato membro ma non ne esaurisce i margini discrezionali”. In particolare le linee guida comunitarie prevedono che la relazione contenga informazioni sull’uso attuale e, se disponibili, sugli usi passati. E misurazioni nel suolo e nelle acque sotterranee. Venendo al caso ravennate, “non appare logicamente sostenibile che, nell’ambito dell’impianto in questione, possa affermarsi in assoluto l’impossibilità pratica del verificarsi della contaminazione”. Anzi, è logico che “la possibilità di contaminazione sia più alta per gradi impianti industriali”. La spa è stata condannata a pagare 2.000 euro di spese di giudizio.

Andrea Colombari