FRANCO
Cronaca

La messa di mezzanotte. Tre sedie vuote disposte attorno al focolare per la Santa Famiglia

Viaggio negli usi del passato durante le feste, il classico ciocco di Natale si lasciava bruciare fino all’Epifania. E dalle scintille si traevano auspici per il futuro.

Viaggio negli usi del passato durante le feste, il classico ciocco di Natale si lasciava bruciare fino all’Epifania. E dalle scintille si traevano auspici per il futuro.

Viaggio negli usi del passato durante le feste, il classico ciocco di Natale si lasciava bruciare fino all’Epifania. E dalle scintille si traevano auspici per il futuro.

Gàbici

Una volta il Natale veniva festeggiato con il ’ciocco’ (e zoc), un robusto pezzo di legno che veniva consumato lentamente dalle fiamme del camino. Alla vigilia l’“azdor”, dopo averlo cosparso di acqua benedetta e aver recitato un Pater Noster, lo accendeva e lo lasciava bruciare fino all’Epifania. L’“azdor”, inoltre, con la paletta frugava nella brace per liberare scintille dalle quali, secondo un ben preciso rituale, si traevano auspici, un rito al quale deve avere assistito perfino il sommo Dante perché così lo ricorda, giudicandolo però severamente, nel XVIII canto del Paradiso: "Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi/surgono innumerabili faville,/onde li stolti sogliono augurarsi".

Benvenuto da Imola, nel suo commento della Divina Commedia, scrive invece che a ’percuoter’ i ciocchi erano i bambini. Non tutte le faville, però, erano ’buone’ e, come scrive Libero Ercolani, per gli auspici venivano prese in considerazione solamente "le faville che superavano la caviglia della catena del camino". Con i carboni del ciocco si ’segnavano’ le parti del corpo ammalate per ottenere la guarigione e si spargevano attorno alle piante che non avevano fruttificato. Era tradizione, inoltre, la notte della vigilia, recarsi in chiesa per la Messa di mezzanotte e prima di uscire di casa si disponevano attorno al focolare tre sedie vuote per ospitare la Sacra Famiglia. A Ravenna, al tempo dell’arcivescovo Massimiano (VI secolo), si celebravano per Natale tre messe solenni.

La messa di mezzanotte era celebrata in Santa Maria Maggiore dove all’epoca si potevano ammirare un mosaico cheraffigurava la Vergine e alcuni versi che alludevano al Natale. La messa dell’aurora, invece, era celebrata in San Pietro Maggiore (oggi San Francesco) mentre quella del giorno era presieduta dall’arcivescovo nella Basilica Ursiana che al tempo di Massimiano era la cattedrale. L’usanza delle tre messe continuò fino ai tempi dell’arcivescovo Teodoro (VII secolo). Il Natale era preceduto, e lo è ancora, da una ’Novena’ e durante una di queste, nel 1795, si ruppe la campana della torre comunale. Il magistrato, allora, ne fece fondere una nuova da Giovanni Battista e Antonio Baldini di Roncofreddo utilizzando i suoi resti e altri pezzi delle ’Porte di Pavia’, un bottino recuperato da Cesare Grossi nel 1528 quando i ravennati erano in guerra coi pavesi. La vigilia di Natale del 1823 veniva inaugurata la famosa Pasticceria Minzoni, gestita da ’e Grugnazz’, un luogo di ritrovo che ben presto divenne il salotto buono della città e che ebbe fra i suoi clienti perfino la regina Margherita. Regalare una anguilla (capitone) il giorno di Natale era auspicio di buon augurio e in questa ricorrenza uno dei ’salvatori’ di Garibaldi, Giuseppe Savini detto Jufina, era solito farne omaggio all’Eroe dei due mondi.

E per finire qualche indicazione tratta dalla meteorologia popolare. Un Natale nuvoloso e con la presenza del ’garbino’ avrebbe annunciato carestie e anche terremoti. Una notte di Natale serena era invece di buon auspicio per il raccolto del grano e per l’allevamento dei bachi da seta, da noi erano chiamati ’cavalir. Occhio al vento, perché se soffiava dopo la messa di mezzanotte avrebbe soffiato per tutto l’anno.