La lotta alla mafia e le avventure del questore Ermanno Sangiorgi

Storia del poliziotto riolese autore del celebre rapporto sulla criminalità organizzata, ancora oggi di grande rilievo

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Il riolese Ermanno Sangiorgi, questore di Palermo dal 1898 al 1907, fa ancora parlare e scrivere per il famoso ’Rapporto’ di quasi 500 pagine che prende il suo nome. Un documento storico di valore inestimabile, poiché offre un quadro dettagliato della mafia siciliana, proponendo per la prima volta nella storia politica e istituzionale nazionale il tentativo di dimostrare l’organicità e l’unitarietà del fenomeno mafioso. Un documento tuttora valido, oggetto negli ultimi anni di convegni e pubblicazioni, tra cui ’La lotta alla mafia dal questore Sangiorgi (1898) al colonnello Dalla Chiesa (1971)’, edito dalla DIA sulla lotta alla criminalità organizzata.

Sono uscite anche note biografiche, che tratteggiano a tutto tondo una figura di romagnolo dell’800, comprese le vicende sentimentali e famigliari. I suoi superiori lo descrivono sanguigno, con un carattere avventato e con propensione a ficcarsi nei guai. Ma, forse, se non avesse avuto tale carattere non sarebbe riuscito a percorrere una carriera lunga quasi cinquant’anni, movimentata e costellata di risultati brillanti, punteggiata di indagini disciplinari, denunce di abusi, encomi e conflitti con magistrati collusi, processi celebri e discutibili vicende sentimentali. E quando, nel 1907, andò in pensione era l’uomo più decorato nella lotta alla mafia.

Ermanno Sangiorgi nasce nel 1840 a Riolo Terme (allora Riolo dei Bagni) da Sante, di professione albergatore. A 15 anni entra nella polizia pontificia come protocollista e con l’Unità d’Italia diventa un poliziotto del nuovo Stato, assumendo, nel 1860, la carica di delegato comunale a Casola Valsenio. Qui il Consiglio comunale ne stigmatizza il carattere avventato e gli abusi di potere che i suoi superiori attribuiscono alla difficoltà dei casolani a essere controllati da un poliziotto riolese, stante la rivalità tra i due paesi. Rientrato a Faenza, nel 1863 altra disavventura: il sottoprefetto, ispezionando i libri del servizio di prostituzione, affidato a Sangiorgi, lo incolpa di un ammanco. Il prefetto rigetta l’accusa, però lo spedisce per cinque anni a combattere il brigantaggio in Calabria. Dove ha la prima disavventura amorosa, benché sia sposato dal 1861 con la faentina Enrica Ricci con la quale ha avuto due figli. Si tratta di seconde nozze in quanto la prima moglie, sposata nel 1858, era morta di parto dandogli un figlio.

Nel 1868, a Castrovillari deve nascondersi in una porcilaia per evitare bastonate da parte deve marito dell’amante. Nello stesso anno, rientrato nelle Marche ha un’avventura con la moglie di un collega di Fermo e di nuovo è inviato al Sud, in Basilicata e nel Salernitano. La destinazione successiva è la Sicilia dove opera come ispettore di Polizia a Trapani, Palermo ed Agrigento. A Girgenti intreccia una relazione con la moglie di un collega, che poi, rimasto vedovo, sposerà, restando con lei fino alla morte, avvenuta a Napoli nel 1908. Anche da Girgenti, Sangiorgi venne spostato, ma le vicende sentimentali non incisero nella carriera, tanto che a 48 anni fu nominato questore reggente di Milano. Un cronista lo descrive così: "Biondo rossiccio, mascella quadrata, marcato accento romagnolo, amabile, bonario, sa nascondere l’astuzia necessaria al suo ufficio sotto una vernice di tranquillità affabile e borghese; è svelto come uno scoiattolo, ed indagatore dalla percezione sicura". Diventerà poi questore di Bologna, Livorno, Venezia, Genova e quindi di Palermo, dove imbastisce il famoso "Rapporto" e il primo grande processo alla mafia.

Beppe Sangiorgi