L’accelerata nella ricostruzione della Romagna futura che le comunità colpite chiedono alle istituzioni appare lontana anni luce nell’epicentro della terza alluvione, il borgo di Traversara, frazione di Bagnacavallo, ancora oggi immersa in un eterno presente cominciato con la rottura dell’argine del Lamone, una settimana fa. Qui tutto quel che conta è aver salvato la vita: "Siamo tutti vivi, questo è l’importante", sintetizza Paolo Gallamini, al lavoro intorno alle poche case ancora agibili di via Torri, il quartiere travolto dalla piena che dopo aver rotto l’argine si è accanita sugli edifici, abbattendo del tutto la prima fila di quelli più vicini al fiume, per poi continuare, traversa dopo traversa, ad aprire squarci nelle abitazioni.
"Le auto che vedete accatastate sui resti di quelle mura appartenevano a mia sorella e mio cognato – spiega –. Anche mia madre viveva qui: era al telefono con me quando mi ha dato praticamente in diretta la notizia che il Lamone aveva rotto l’argine". La donna è riuscita a mettersi in salvo: la sua abitazione è invece un cumulo di macerie da cui si notano emergere un divano, libri, fotografie. A mancare sono i muri che prima circondavano questi oggetti. Gli abitanti di via Torri trascorrono giornate sospese nell’attesa, gli occhi fissi alle loro abitazioni, aspettando il momento in cui i vigili del fuoco entreranno per aiutarli a mettere in salvo gli oggetti più importanti, o scandendo le ore che li separano dal verdetto più penoso, quello che sancirà se la loro casa rientra fra le circa venti – il conto è delle autorità – che dovranno essere abbattute. Qualcuno non ce la fa e scoppia a piangere, consolato dai vicini; Piera Alboni, prima di andare ad abbracciare un’amica in lacrime, riporta la mente a otto giorni fa, quando al posto di quel mucchio di macerie c’era parte della sua abitazione: "Quella era la cucina, e lì c’era il bagno". Il marito Daniele si muove sullo sfondo di una parete che non esiste più. "Se anche i muri portanti si fossero salvati, cosa cambia?", mormora Piera. Poco lontano, in quella che sarebbe la terza fila di edifici travolti dall’alluvione, Martina Caroli tiene il fiato sospeso mentre i vigili del fuoco entrano nella casa dove ha sede anche lo studio medico del padre. Alcune pareti vicine sono sparite, ridotte a cumuli di calce. I pompieri entrano in tre, muniti di casco, pronti a soccorrersi l’un l’altro qualora la situazione precipitasse. "Se tutto andrà bene poi forse potremo entrare anche noi", confida Martina con un filo di voce. Traversara tenta lentamente di risollevarsi: una postina ha distribuito poche ore fa le lettere arretrate, l’Ausl ha allestito ambulatori mobili aperti in piazza Modanesi dalle 8 alle 20. Lunedì sarà possibile effettuare anche la vaccinazione antitetanica per i residenti che ne avessero necessità. Appena all’esterno della zona rossa l’umore migliora leggermente: in quello che era il circolo dei repubblicani oggi c’è una farmacia, colmata dalle acque dell’alluvione ma rimasta in piedi. All’esterno il busto di Giuseppe Mazzini, lasciato intatto dall’alluvione, viene carezzato dalle dita di alcuni passanti. La titolare Irene Izzo è convinta che Traversara continuerà ad esistere, e spiega le sue ragioni facendo ricorso a un termine intraducibile per la quantità di significati che porta con sé: "Qui la gente è ‘tamugna’".
Filippo Donati