Il piano di risanamento "appare fondato". Inoltre in questo momento l’azienda è in "sostanziale equilibrio economico-finanziario". Considerazioni che per Cmc significano altri 120 giorni di tempo al riparo da iniziative dei creditori in grado di turbare la cessione del suo ramo più importante, quello delle costruzioni: un’operazione, questa, "che appare sufficientemente certa e imminente". È quanto si legge nell’ordinanza con la quale il giudice Paolo Gilotta ha accolto il ricorso di Cmc per la conferma delle misure protettive.
Un’iniezione di fiducia per lo storico colosso di via Trieste, con un occhio alle date però: perché il provvedimento del giudice, depositato venerdì, fa decorrere i 120 giorni dalla data dell’istanza: 28 giugno. Siamo cioè in scadenza: tanto che la ’Cooperativa muratori & cementisti’, leader delle costruzioni fondata nel 1901 con sede a Ravenna ma con commesse in tutto il mondo e con 863 dipendenti, ha già provveduto a inoltrare ulteriore istanza per altri 120 giorni di misure protettive. Sul quadro dell’azienda, il giudice è stato chiaro: "La situazione patrimoniale e finanziaria - si legge nel documento - dà evidenza di un’obbiettiva condizione di insolvenza". Tanto che l’accordo concordatario risulta "oggettivamente inadempiuto". Il riferimento implicito è per il concordato preventivo con continuità aziendale omologato dal tribunale il 29 maggio 2020: carenze riscontrate nel pagamento dei creditori, avevano portato la procura nella primavera scorsa a chiedere la liquidazione giudiziale (nella vecchia procedura conosciuta come fallimento). Due in buona sostanza le contromosse dell’azienda: avviare una procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. E appunto chiedere al tribunale la conferma delle misure protettive. Nel primo caso, la richiesta aveva coinvolto la Camera di commercio per la nomina di un esperto indipendente "che agevoli le trattative con i creditori", si leggeva nel documento a firma degli avvocati Valerio Di Gravio, Silvio Lecca e Giuseppe Della Casa: la scelta era ricaduta sulla commercialista milanese Stefania Chiaruttini.
E proprio il suo parere trova ampio spazio nell’ordinanza appena depositata. L’intento di Cmc agli occhi del giudice è palese: offrire una soluzione di ristrutturazione migliore rispetto alla liquidazione. Nel nostro caso si tratta di un’opzione "inedita ma lecita" visto che la procedura negoziale è arrivata dopo un concordato in continuità inadempiuto. In buona sostanza il nuovo piano prevede di mettere il flusso di cassa a disposizione dei creditori; di incassare i crediti; di proseguire con l’attività aziendale non al centro di cessioni; e di liquidare alcuni asset - il maggiore di questi è la partecipazione in Eurolink -, manovra che non era contemplata nel concordato. Ma soprattutto di cedere in via "competitiva a terzi" - ovvero a una società di altra provincia - il più consistente ramo operativo: le costruzioni. Secondo le considerazioni dell’esperta sintetizzate nell’ordinanza, ciò soddisfa la cosiddetta ’clausola generale’: ovvero l’aspettativa di miglior soddisfacimento per i creditori in relazione alle possibilità operative alla portata dell’imprenditore. In quanto alla cessione, agli atti esiste già un’articolata offerta di acquisto: tutto già accertato e sottoscritto da Cmc.
In definitiva il piano di risanamento, così come esposto, appare "fondato su assunzioni credibili o comunque di immediata verificabilità" da parte dell’esperta. A conti fatti la condizione di Cmc, anche se "qualificabile come di insolvenza", contempla una "concreta possibilità" di risanamento attraverso il piano in modo tale da offrire ai creditori un "trattamento - pur falcidiato - certamente migliore" dell’alterativa possibile: la liquidazione.
Andrea Colombari