SARA SERVADEI
Cronaca

“Influenza, gli antibiotici non servono e poi diventano inefficaci”

Problema sempre più diffuso della resistenza, le raccomandazioni dell’Ausl: “Solo se prescritti dal medico”. L’intervista all’infettivologo Bassi: “Se il medicinale non viene utilizzato bene, vince sempre il batterio”

Ravenna, 22 novembre 2024 – Utili, nella giusta misura. Dannosi se assunti in abbondanza. Uno dei grandi temi della sanità di oggi e domani è quello dell’antibiotico-resistenza: a furia di usarli (e di abusarne), gli antibiotici finiscono per perdere la loro efficacia perché i batteri diventano resistenti.

Questa per l’Oms è la settimana mondiale sull’uso consapevole di questi farmaci: l’Ausl Romagna ne approfitta per rilanciare l’attenzione sul tema. "L’intensivo e spesso inappropriato utilizzo degli antibiotici ha portato a un progressivo aumento di microrganismi resistenti alle cure farmacologiche disponibili, rappresentando oggi in tutto il mondo un grave problema per la salute pubblica – spiega il dottor Carlo Biagetti, direttore del programma aziendale e stewardship antimicrobica dell’Ausl –. La resistenza antimicrobica ha infatti gravi conseguenze sui sistemi sanitari, sia in termini economici sia in termini di salute umana, perché può ridurre la capacità di prevenire e curare le malattie infettive, il trattamento dei pazienti immunocompromessi, mettere anche a repentaglio la possibilità di effettuare interventi chirurgici. Ma ognuno di noi, attraverso comportamenti consapevoli e informati, può far sì che gli antibiotici continuino a essere efficaci e contribuire a evitare la resistenza".

L’Ausl puntualizza alcune informazioni riguardo gli antibiotici, che "sono inutili contro i virus. Molto spesso le comuni infezioni delle vie respiratorie (come ad esempio raffreddore, influenza, mal di gola, bronchite acuta) sono causate da virus, l’uso degli antibiotici in queste situazioni è inutile e può esporre a rischi". Inoltre "in passato si è sempre raccomandato di terminare tutta la terapia antibiotica anche in caso di miglioramento dei sintomi e scomparsa della febbre. Oggi le evidenze scientifiche indicano che il trattamento antibiotico può essere sospeso in anticipo su indicazione del medico, dopo un giorno senza febbre e in base al miglioramento dei sintomi". Gli antibiotici possono provocare effetti collaterali come "disturbi del sistema digestivo, diarrea, nausea, arrossamento della pelle o malfunzionamento dei reni, ma anche reazioni cardiovascolari, a carico del sistema muscolo scheletrico e del sistema nervoso", oltre alle resistenze batteriche. Quest’ultimo è "un fenomeno che avviene prevalentemente a livello cutaneo e intestinale in tutti i soggetti che assumono antibiotici. I batteri resistenti, insorti dopo un trattamento, possono rimanere a lungo nell’individuo e possono essere trasmessi ad altre persone in caso di vicinanza e contiguità". L’Ausl chiede ai pazienti di non iniziare mai una terapia antibiotica senza aver consultato il medico, "neanche in presenza di un’infezione che sembra ‘simile’ a una precedente".

L’intervista

Paolo Bassi, direttore dell’unità operativa di Malattie infettive all’ospedale di Ravenna, quanto è grave e diffusa ora l’antibiotico-resistenza?

“È un problema cruciale, è così già da parecchio tempo e lo sarà sempre più. È una questione innanzitutto di educazione non solo scientifica, ma anche di abitudine e di approccio: è culturale. In Europa l’Italia è il Paese occidentale dove il problema è più grave, insieme alla Grecia”.

Come mai?

“Per una serie di abitudini inveterate difficili da rimuovere: innanzitutto l’utilizzo dell’antibiotico come antifebbrile e non come antinfettivo, quando è un antinfettivo batterico. Il periodo invernale è cruciale, perché alla prima insorgenza di febbre a 37,5° per una sindrome influenzale c’è chi subito inizia a prendere l’antibiotico. Ed è sbagliatissimo: in primis perché non è un antivirale, e poi perché così si favorisce l’iper utilizzo”.

Sono i pazienti ad assumere in autonomia qualcosa che hanno in casa o i medici a prescrivere?

“ A volte le persone lo fanno in autonomia. Altre volte non è così, e non voglio discutere della buona volontà dei colleghi. C’è chi va dal medico e dice: ’Io devo tornare al lavoro il prima possibile, mi dia l’antibiotico’. E così viene somministrato per quieto vivere, invece di lasciare che la natura faccia il suo corso: in 3/4 giorni la sindrome influenzale passerebbe da sola con un po’ di tachipirina. E invece si preferisce dire ‘non si sa mai’... E questo è sbagliatissimo”.

L’antibiotico è efficace contro una comune sindrome influenzale?

“Non è un antifebbrile e non serve a niente nelle infezioni delle alte vie respiratorie invernali, che in più dell’80% dei casi sono virali. Il problema è che poi quando c’è veramente bisogno dell’antibiotico il paziente nel frattempo ha sviluppato una resistenza”.

Ecco, la resistenza. Come si manifesta?

“Facciamo un esempio: un’infezione delle vie urinarie. Tante volte dopo una comune cistite, soprattutto se ci sono fattori favorenti, viene fatto un esame colturale delle urine che può dare esito positivo anche senza una manifestazione clinica. In pratica il paziente sta benissimo, ma le urinoculture a cui si sottopone rimangono positive, e così parte un altro ciclo di terapia antibiotica. E poi un’altra, e via dicendo. Noi infettivologi siamo strenuamente in battaglia per interrompere queste pratiche, bisogna ritornare alla clinica: curare la salute del paziente e i sintomi. Si combatte l’esame e non si persegue la salute, anzi: l’esito è lo sviluppo di batteri resistenti. Poi i pazienti vengono in ospedale perché anche dopo tutti i trattamenti le urinocolture restano positive”.

A quel punto cosa si fa?

“Nel 90% dei casi il paziente sta bene, per cui lo si educa. Io dico loro che non faccia niente, e soprattutto non utilizzi antibiotici, perché il germe nelle vie urinarie non determina nulla. Non necessariamente le urine devono essere sterili. Se il paziente sta bene è sufficiente.Tra l’altro in qualche caso la resistenza all’antibiotico può anche andarsene se il farmaco non viene più assunto”.

Quindi l’antibiotico-resistenza è legata più ai cicli di medicinali recenti, che non alla storia clinica del paziente?

“È legata in genere a ripetuti cicli di terapia antibiotica”.

Quello in cui il paziente non presenta sintomi è il 90% dei casi. E il restante 10%?

“Per fortuna sono usciti nuovi antibiotici, ma vanno custoditi e protetti: si sono già mostrati alcuni problemi se cominciamo a utilizzarli impropriamente”.

Si rischia di imbattersi di nuovo nell’antibiotico-resistenza?

“Nella corsa tra infezione batterica e antibiotico alla lunga, se l’antibiotico non viene utilizzato bene, vince sempre il batterio: ‘vuole vivere’ e fa di tutto per mettere su corazze e difese. Se i nuovi antibiotici venissero prescritti impropriamente si genererebbe lo stesso meccanismo”.

Quali sono i casi in cui l’antibiotico-resistenza è più comune?

“I due grandi ‘settori’ sono il respiratorio e l’urinario”.