REDAZIONE RAVENNA

In fuga da minacce e talebani. Sotto protezione internazionale dopo un primo no all’accoglienza

Un 21enne ha attraversato il Medio Oriente arrivando in Italia. La sua battaglia legale a Ravenna

Un talebano in un posto di blocco in Afghanistan

Un talebano in un posto di blocco in Afghanistan

Ha detto che viaggiava assieme al padre, autista di camion per la Nato. Poi un giorno del 2017 loro due erano stati assaliti da alcune persone a volto coperto: lui era riuscito a tornare al villaggio ma da allora non aveva più avuto notizie del padre. Dopo qualche tempo un malvivente della zona, legato ai talebani e al governo locale, lo aveva minacciato chiedendogli 20 milioni di rupie (quasi 69 mila euro) quale corrispettivo di camion scomparsi. E così lui, con l’aiuto di uno zio e di un trafficante, era scappato riuscendo a raggiungere Ravenna dopo un lungo viaggio attraverso Iran, Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia, Croazia e Slovenia.

Un racconto, quello fatto da un 21enne proveniente da una regione del Pakistan al confine con l’Afghanistan, che evidentemente non aveva convinto, "per genericità e vaghezza", la commissione territoriale la quale aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e forme complementari di protezione. Ora però il tribunale di Bologna, attraverso apposito decreto, su ricorso della difesa (avvocato Andrea Maestri) ha riconosciuto al giovane straniero la protezione internazionale nella forma sussidiaria.

Il 21enne aveva riferito di essere di etnia pashtun e di religione musulmana sunnita. Non sposato, senza figli e con lavori saltuari, aveva lasciato il Pakistan il 12 gennaio del 2018 arrivando in Italia il 17 luglio di quello stesso anno dopo un travagliato viaggio. La decisione era nata dal timore per la propria vita: e se fosse rientrato, temeva di essere nuovamente assalito dai malviventi.

La commissione territoriale di Bologna (sezione di Forlì-Cesena) aveva ritenuto credibili gli elementi relativi alla nazionalità pakistana e alla regione di provenienza. Ma aveva non ritenuto credibili i motivi legati all’espatrio escludendo la possibilità di "rischio di danno grave" e la "sussistenza dei presupposti per la concessione di un permesso di soggiorno".

Il collegio bolognese, presieduto dal giudice Luca Minniti, è invece partito da un ragionamento allargato. Ovvero anche se la valutazione di non credibilità fosse stata confermata, rimaneva pur sempre un dato fermo nella vicenda: la "condizione di violenza generalizzata attualmente sussistente" nella zona del Pakistan dalla quale il 21enne ha detto di provenire. Dati alla mano, l’area è interessata da una "situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato - prosegue il decreto - idonea a esporre la popolazione a un grave pericolo per l’incolumità" anche per "il solo fatto di soggiornarvi". Il distretto in questione è stato segnato da vari attacchi terroristici. Le violenze, secondo i giudici bolognesi, sono "determinate principalmente da due fattori: la prossimità con l’Afghanistan, che ha favorito il proliferare di gruppi islamisti in particolare taleban; e la presenza di elementi culturali nelle aree tribali che incidono sul rispetto dei diritti umani".

In definiva che il racconto del 21enne sia vero o no, poco importa: perché l’area da dove arriva, "corrisponde a un grado di violenza indiscriminata che ha raggiunto un livello tale" per cui un cittadino che dovesse rientrarvi, "correrebbe, per la sua sola presenza lì, un rischio effettivo". Il giovane potrà dunque rimanere a Ravenna.

Andrea Colombari