FILIPPO DONATI
Cronaca

Il trauma dell’alluvione : "C’è un prima e un dopo per tutti. La lesione deve cicatrizzarsi"

Erika Cannini è la psicologa dell’Ausl che da nove mesi cura le persone sotto choc "I pazienti hanno attacchi di panico, disturbi dell’ansia, fobie e disturbi del sonno".

L’alluvione del 2023 come una grande ferita psicologica collettiva, diversa nei suoi tempi di cicatrizzazione sia rispetto a un evento allora inaspettato come il terremoto in Emilia del 2012, sia a uno a lenta incubazione come la pandemia di Covid. Erika Cannini, psicologa per l’Ausl Romagna, da nove mesi cura negli ospedali di Ravenna, Faenza e Lugo le lacerazioni che l’acqua ha provocato nelle menti dei romagnoli.

Dottoressa Cannini, che ferite lascia un’alluvione all’interno di una persona?

"Siamo davanti a disturbi da stress post-traumatico. Negli alluvionati abbiamo riscontrato attacchi di panico, disturbi dell’ansia, fobie, disturbi del sonno, il ripetersi di flashback, di pensieri intrusivi, per arrivare alla tendenza di alcuni di loro a scrutare continuamente il cielo ogni qual volta si avvicina un temporale, il che è determinato dalla natura delle alluvioni: eventi inaspettati ma che prendono corpo nell’arco di varie ore. L’acqua, per loro, equivale al proverbiale rumore delle chiavi per chi era stato prigioniero in Vietnam, fatte ovviamente le dovute proporzioni".

La paura di una nuova alluvione fa parte di quel che chiamiamo eco-ansia?

"Quest’ultimo è un termine soprattutto giornalistico, nella letteratura clinica non esiste una patologia specifica assimilabile. Ciò non toglie che quella paura esista davvero, e che ci si debba misurare. E’ importante che quella lesione si cicatrizzi, che l’alluvione venga richiusa nei cassetti della memoria. Gli esseri umani sono tornati a vivere a New Orleans dopo l’uragano Katrina, e continuano ad abitare in Giappone in equilibrio sopra la cintura del Pacifico. Siamo una specie adattabile".

Come avete curato quei pazienti?

"Negli ospedali in cui lavoro seguo soprattutto pazienti oncologici, nei quali il trauma dell’alluvione si è sommato a quello della malattia. Più in generale, se il superamento del trauma non avviene in autonomia, si interviene con tecniche di psicoterapia, quali l’Emdr, cioè la desensibilizzazione e rigenerazione tramite movimenti oculari. Occorre lavorare sui ricordi più traumatici: la stimolazione del movimento oculare aiuta la rielaborazione naturale di quanto accaduto. Oppure si opta per tecniche meditative, che aiutano il paziente a concentrarsi sul presente, su un momento insomma in cui attorno a lui non c’è l’alluvione".

Le difficoltà che potevano manifestarsi sono già tutte emerse fra la popolazione? E quanto occorre per superare un disturbo da stress post-traumatico?

"I tempi perché emergessero reazioni gravi sono ormai completi. Generalmente traumi come questi vengono superati entro l’anno. Se questo non succede allora siamo davanti a qualcosa che può portare a psicopatologie".

Sono molte le persone che non intendono tornare in case pericolosamente vicine ai fiumi?

"No, quasi nessuna direi. E clinicamente è bene che sia così: volersi riappropriare della propria vita, della propria casa, l’elemento cioè per antonomasia fonte di sicurezza, testimonia la volontà di superare il trauma, di ricominciare. Quando si è ricostruito ciò che ci sta intorno diventa più semplice ricostruire anche dentro noi stessi. Pensare che quel dramma non si ripeterà è un meccanismo di autodifesa".

Eppure un’altra alluvione è sempre possibile, questo è bene che sia chiaro, giusto?

"Attenzione: qui non si tratta di illudersi o di autoingannarsi. Il nostro inconscio sa benissimo che le catastrofi naturali sfuggono al nostro controllo, e ci prepara di conseguenza. Dobbiamo pensare che la nostra mente, in questi casi, agisce su più piani. A un livello superficiale c’è appunto quella lacerazione che deve rimarginarsi al più presto, e in uno strato più profondo l’inconscio, con tutto quello che vi si è sedimentato".

Il maggio del 2023 lascerà tracce anche in chi non è stato alluvionato?

"Per tutti quanti ci saranno un prima e un dopo l’alluvione: è entrata nelle vite di chiunque. In alcuni luoghi, come Faenza, esiste un senso di comunità più sviluppato che altrove, che ha in qualche modo consentito una rimarginazione collettiva della ferita. Altrove, in particolare nei piccoli comuni, non è stato così: tante persone in quei contesti faticano a trovare delle risposte a quanto accaduto. Ecco perché molti apparivano così convinti che la loro comunità fosse stata allagata per salvarne un’altra, talvolta irrealisticamente lontana. Sono atteggiamenti che non dobbiamo derubricare a complottismo, ma grida soffocate legate a disagi che quella collettività soffriva anche precedentemente, e che sono come emersi dalle acque dell’alluvione".