Tetti implosi per il cedimento delle travi in legno marcite, muri sbrecciati, detriti a mucchi: il complesso di tre corpi di edifici nell’area che fu del mulino Batticuccolo è in gran parte in stato di abbandono ben prima dell’inondazione del maggio del 2023 e la notizia secondo cui il Comune farà presto partire lavori di ripristino, ristrutturazione e abbattimento di strutture incongrue, offre l’occasione per una carrellata storica su quella vasta area compresa fra Porta Montanara e il ponte Rosso ricca di alcune dimenticate vestige, un vizio, quello della dimenticanza della propria storia, frequente a Faenza (basti pensare ai ricorrenti e mai realizzati progetti che negli ultimi sessant’anni hanno riguardato il museo archeologico).
E proprio in continuità con certe ‘disattenzioni’ è la nuova (incomprensibile) denominazione di via Renaccio di quel tratto di strada compreso fra la circonvallazione (viale Piave) e il ponte Rosso, ai cui margini sorge appunto lo storico complesso, che ha avuto sempre il nome di via Batticuccolo perché unico era il tratto di strada che da Porta Montanara portava al ponte e quindi a Modigliana. Questa strada venne chiamata via Batticuccolo proprio perché il nome era ricavato da quello del mulino.
Fu la costruzione della circonvallazione, negli anni Sessanta, a spezzare la continuità del tracciato, ma non il nome. Come non ricordare che proprio nell’area fra l’ex Molino e il ponte Rosso nell’ottobre del 1974 fu inaugurato il ‘camping delle Ceramiche di via Batticuccolo’ (ben presto abbandonato e poi per anni diventato area di sosta per una famiglia rom). E ai faentini che non dimenticano la storia, leggere dei lavori ‘all’ex molino di via Renaccio’ è apparsa subito una nota ben stonata!
Del mulino Batticuccolo, uno dei più antichi, c’è una bella immagine di metà Ottocento: l’opificio è ritratto in uno dei precisi e fondamentali disegni di un artista come Romolo Liverani: una immagine che evidenzia come ormai poco degli attuali tre fabbricati (adibiti nel tempo a funzioni diverse, fra cui, da ultimo, sedi del maneggio per i rioni e della Protezione civile) porti le caratteristiche di quella settecentesca primigenia opera, ma la presenza di un progetto di ristrutturazione dell’area depone in senso positivo almeno per ricordare in loco, con targa e foto (sul modello del Mulino del Portello in via Morini) quello storico opificio.
Luogo che dai primi del Settecento, era attraversato dal tratto finale della ‘Canaletta’, ovvero il secondo ramo del Canal Grande che dal 1689 trae acqua dal Lamone alla chiusa di Errano (è comunque dalla fine del 1100 che si hanno notizie del tracciato di un canale che traeva acqua dal fiume Lamone, ma da punti più verso la città). La ‘Canaletta’ trovava origine alle Bocche dei Canali (alla confluenza fra via Canal Grande e via Firenze) dal canale principale, appunto il Canal Grande che scendeva (e scende, tombinato dal 1971) verso la città a lato della strada fino al viale dello Stradone dove il corso d’acqua si avvia verso l’ospedale, ove ancora si divideva.
Scendendo a fianco di via Firenze (tratto tombinato a cominciare dal 1974), a porta Montanara il percorso della ‘Canaletta’ svolta a destra (qui, ove dal 1936 c’è la fontana in memoria del musicologo e compositore faentino Antonio Cicognani, c’era la Ruota dell’acqua con mole per l’affilatura di armi e coltelli), prosegue a fianco di via Batticuccolo (l’antico sobborgo Mondina) e confluisce nel Lamone a ridosso del ponte Rosso. A metà della via (oggi si trova allo svincolo con la circonvallazione) sorgeva la Pila del Riso e cento metri oltre, il Mulino Batticuccolo. Il corso della ‘Canaletta’ da porta Montanara alla pila del Riso fu coperto negli anni Trenta del secolo scorso quando fu anche abbattuto l’edificio che ospitava la ‘Ruota dell’acqua’ (di cui pure non v’è indicazione storica).
E nell’area c’è un’altra dimenticata traccia storica: la casa, in stile neoclassico faentino con importanti affreschi, del canonico Giuseppe Rossini, insigne studioso faentino. Edificio ormai labente, a fine anni 90 fu trasformato in un ristorante (peraltro alluvionato del maggio ‘23 e da allora chiuso) ma della sua importante origine non v’è in loco alcuna traccia (neanche una targa) pubblica. Insomma, proprio in occasione dei lavori, sarebbe forse il caso di rimediare a tante dimenticanze (basterebbero pochi pannelli) e alla fallacia storica della ridenominazione in ‘via Renaccio’.
Carlo Raggi