Ravenna 10 ottobre 2024 – È destinato ad ampliarsi il fronte della maxi-inchiesta che la Procura di Ravenna ha in campo per accertare se vi siano stati (e quali) errori umani nella determinazione o co-determinazione delle disastrose inondazioni seguite alle rotte dei fiumi del 16-17 maggio dello scorso anno: infatti è stato presentato alla segreteria generale della Procura un dettagliato esposto che fa riferimento a un aspetto particolare, ovvero la gestione degli interventi da parte del Consorzio di Bonifica, susseguenti alle rotte e tracimazioni, nel Forlivese, del Ronco e del Montone e la conseguente inondazione del territorio ravennate a valle, in particolare l’area compresa fra i due fiumi con gli abitati di San Pietro in Trento, Roncalceci e Ghibullo dove l’acqua raggiunse anche i due-tre metri di altezza. A firmare l’esposto è il geologo ravennate Claudio Miccoli, ex dirigente del Genio Civile e della Regione, responsabile nei decenni di tanti lavori sia in mare sia per la sicurezza idraulica dei fiumi.
"Il mio scopo è che venga accertata la fondatezza di ciò che denuncio così da far comprendere gli errori fatti e fare in modo che non si ripetano. Alla Procura ho fornito precise indicazioni, video e nominativi di persone informate sui fatti. Poi ovviamente c’è l’ampia documentazione video-fotografica di quel periodo che ritengo la Procura abbia già acquisito nell’ambito della più vasta inchiesta che sta conducendo". In sostanza l’esposto pone l’accento sulla mancata tempestiva apertura della saracinesca verticale posta all’incrocio fra il canale Tratturo (che scorre trasversalmente fra il Montone e il Ronco e si immette in quest’ultimo fiume) e il canale Lama (che è canalizzato sotto al primo e scorre invece parallelamente ai fiumi, da monte a valle), una "operazione che avrebbe potuto fin da subito tenere basso il livello dell’inondazione del vastissimo territorio ravennate dove invece l’altezza dell’acqua ha raggiunto misure che hanno messo a rischio l’incolumità di molte persone: solo a Roncalceci sono state portate in salvo con i natanti almeno trenta persone".
Cui si aggiungono gli ingenti danni materiali. Quella saracinesca, evidenzia l’esposto, era aperta "fino alle 13.24 del 15 maggio 2023, come emerge da molte testimonianze, poi è stata chiusa e incatenata dagli operai del Consorzio di Bonifica della Romagna e solo la mattina del 19 maggio è stata riaperta" ed è su questo ritardo di due giorni rispetto alle inondazioni in atto e in trasferimento da monte a valle dopo le rotte e le esondazioni del 16-17, che si accentra l’esposto. A questo proposito è bene chiarire subito che appena aperta la paratoia, quel 19 mattina, l’acqua dai campi cominciò a defluire rapidamente nella Lama, ma già il disastro era stato provocato. Nell’esposto si calcola che l’intera area sia stata raggiunta da 14 milioni di metri cubi di acqua e fango, ovvero, si legge nell’esposto "più o meno la metà del volume massimo della diga di Ridracoili" che avrebbero potuto essere scolmati attraverso il canale Lama e i sistemi di sfogo introdotti dopo le inondazioni del 1996. Oltretutto l’efficacia di quella saracinesca al fine del veloce deflusso delle acque era stata sperimentata proprio in occasione dell’inondazione del 1996 (dovuta all’esondazione, a monte, del Bevano) quando tutta l’area fu invasa e anche all’epoca vennero allagate le case "ma da appena 30 centimetri di acqua, non due-tre metri".
D’altra parte a suo tempo il Consorzio, si legge nell’esposto, era intervenuto per diversificare il deflusso delle acque dal canale Lama realizzando nella zona della chiusa di San Marco una specie di delta a tre bracci tutti collegati al Montone, ma con diverse caratteristiche: immissione diretta, impianto di sollevamento e immissione a gravità. "Una complessa struttura che non è stata però utilizzata nel maggio 2023 quando il livello del Montone lo avrebbe permesso perché si era abbassato a causa della rotta nel Faentino" si evidenzia nell’esposto in cui si aggiunge anche la mancata allerta alle popolazioni per l’imminente rischio di inondazione. Nell’esposto si chiede pertanto alla magistratura di accertare la sussistenza di reati e i livelli di responsabilità operativa, se limitati ipoteticamente al Consorzio o estensibili ad "altri diversi livelli istituzionali".