Ravenna, 29 ottobre 2023 – "Se Felice fosse al mondo, si sarebbe incazzato con me perché non ci siamo impegnati abbastanza per capire chi lo ha ammazzato".
E in effetti è ancora un rompicapo il delitto di Felice Orlando, l’operaio 49enne di origini cosentine, ma da tempo trapiantato in Romagna, ucciso tra le 18.30 e le 19 del 29 ottobre scorso - cioè esattamente un anno fa - durante una battuta di caccia a Castel Bolognese, non distante dalla sua abitazione. Il suo cadavere era stato rinvenuto all’indomani dal padre tra i filari di kiwi. L’assassino lo aveva freddato con due colpi da distanza ravvicinata esplosi con un fucile da caccia di diverso calibro (16) di quello della vittima: un più comune calibro 12, mai ritrovato. Ma in questa storia, perlomeno per chi scrive, non è la sola cosa a mancare all’appello, a partire dal movente. Un’impasse sulla quale uno dei suoi migliori amici, il camionista faentino Roberto Bosi, non si dà pace.
Signor Bosi, quando è stata l’ultima volta che vi siete sentiti?
"Ero al telefono con lui due giorni prima dell’omicidio: era tranquillo".
Come lo ha saputo della morte?
"Ero partito la domenica notte per Milano: la mattina presto leggo di un omicidio a Castel Bolognese. Alle 8.30 mi chiama un amico. E mi fa: ’Dicono che sia Felice’. Mi viene la pelle d’oca. Allora chiamo uno che andava a caccia con lui: mi conferma, è proprio vero. ’Purtroppo ci ha lasciati’, mi dice".
Che le ha detto esattamente?
"Da lì sono uscite tante cose tra me e lui, discorsi diciamo strani: prima mi ha detto una cosa e poi in un altro modo. Comunque lui è stato sentito dagli investigatori, io ancora no".
Da quanto tempo lei e il signor Orlando vi conoscevate?
"Lui aveva 17 anni e io 18: fanno più di trent’anni. Ero tra i suoi migliori amici, ci vedevamo ogni due o tre giorni, ogni tanto uscivamo assieme: mai avrei pensato...".
Lei dunque lo conosceva molto bene: crede che la caccia e l’eventuale bracconaggio possano avere avuto un ruolo nell’omicidio?
"Su quel fronte lì, Felice non lo conoscevo perfettamente. So che spesso andava con altri due, già sentiti in caserma. So che andavano a cercare degli animali alla sera, in zone in cui magari non dovevano andare".
Della dinamica del delitto, che idea si è fatto?
"Che il fucile al suo assassino glielo ha dato lui in mano. Perché quando si trovava a fare le botte, era lui il primo ad andare avanti. Se uno gli ha detto ’ti ammazzo’, lui gli è andato sotto e gli ha dato il fucile. È dal primo giorno che penso queste cose: perché lui aveva il carattere per affrontare il pericolo senza paura, e stavolta lo ha trovato. Ma non doveva morire: perché era attento e capace di combattere per la propria sopravvivenza".
Immagino che lo abbia dedotto osservandolo durante episodi di tensione.
"Guardi, da giovani lui era il primo a mettersi in mezzo quando discutevamo con qualcuno. Diceva: ’Dammelo a me il pugno, vieni da me a combattere’".
Cosa vi siete detti l’ultima volta che vi siete sentiti?
"Mi chiese una questione riguardante il telepass del camion per le multe".
Com’era la sua situazione familiare?
"Aveva una moglie da cui si era separato e una figlia a cui voleva un bene da fare paura. Poi aveva trovato una donna che chiamava la (...): conviveva con lui. E aveva pure un’altra, la (...): mi raccontò che lei aveva lasciato il marito per andare con lui. Mi han detto che lei è stata tra le prime ad arrivare lì la mattina che lo hanno trovato".
È vero che aveva il problema del gioco?
"Sì, giocava molto alle macchinette. Giocava soldi pesanti: ci andava spesso. Andava a una sala slot di Faenza. Una volta una sorella mi chiamò - ne ha altre due - per chiedermi: ’ma te Felice lo hai visto giocare?’. Perché se facevi bancomat lì - ogni tanto ci andavo pure io -, non usciva il nome della sala: si vede che nell’estratto conto della banca aveva notato l’altro nome. Comunque, lui si è giocato una bella partita, una volta i soldi glieli ho prestati io".
Anche altri lo hanno fatto?
"Non lo so: voci dicono che lui ha chiesto soldi in giro".
E se dietro a tutto ci fosse stato un regolamento di conti proprio per questo motivo?
"Me lo avrebbe detto, con me aveva un rapporto aperto tranne che per la caccia: mi chiedeva solo informazioni su alcuni posti con animali".
Che rapporti c’erano in casa sua?
"Non ci andavo quasi mai, non saprei dire, lui non ne parlava. So che aveva una badante per la madre: la moglie di uno dei suoi compagni di caccia".
Screzi con vicini o agricoltori per ragioni di caccia?
"Lo potrebbero sapere i due che andavano spesso a caccia con lui e ora non ci vanno più. Non voglio accusare nessuno, sono amici anche loro: vorrei solo che si approfondisse".
L’ambiente di lavoro?
"C’era stata una vicenda legata a del gasolio. Per il resto, lui aveva una mentalità per la quale caricava tutto a casa della gente, anche cose che magari non doveva caricare: ma non roba da ammazzarlo".
Che voci ha sentito in paese su questo delitto irrisolto?
"Un giorno ero al bar e (...) mi dice: ’chi l’ha ammazzato è (...)’. Tempo fa girava voce che fosse stato (...) per 100 mila euro dal conto corrente. Ma io ho sempre evitato questi discorsi".