
I soccorsi con l’elimedica a Chiesanuova di Conselice il giorno dell’incidente
Faenza, 19 aprile 2025 – Era morto schiacciato dal furgone di un amico che stava riparando. Quello accaduto a Chiesanuova di Conselice nella tarda mattinata del primo febbraio scorso, un sabato, ad Antonino ’Nino’ Currò - 36enne originario di Messina ma da qualche anno residente a Imola con la famiglia -, non era stato un incidente domestico ma un infortunio sul lavoro. È quanto la procura di Ravenna ha in sintesi messo nero su bianco nell’avviso di conclusione indagine per omicidio colposo notificato nei giorni scorsi al 47enne conselicese nato a Imola e proprietario sia del mezzo che del cortile dell’abitazione nel quale si era consumata la tragedia.
Secondo quanto ricostruito nelle indagini dei carabinieri coordinate dal pm Francesco Coco, il 36enne, dipendente di una concessionaria imolese con la qualifica di meccanico, era andato a casa dell’amico per sostituire l’alternatore al suo Mercedes Benz modello Vito. L’improvviso cedimento di uno dei cric usati per sollevare il mezzo, ne aveva causato il decesso per "fracasso cranico", come avrebbe poi stabilito la relazione del medico legale. A fare assumere al caso la dimensione di infortunio sul lavoro - prosegue l’accusa - è stata una circostanza particolare: ovvero il 36enne stava lavorando in cambio di un compenso per il quale non era stata prevista l’emissione di fattura o di altra documentazione. Ed è in questo alveo accusatorio che si sono canalizzate le contestazioni a carico del 47enne: l’uomo a più riprese - sempre secondo le verifiche - avrebbe del resto ingaggiato Currò a casa sua in attività di riparazione e manutenzione dei suoi veicoli, di fatto diventandone così una sorta di datore di lavoro. L’accusa gli attribuisce insomma una colpa generica legata a negligenza e imprudenza: tanto più che il cric che aveva ceduto, sarebbe stato messo a disposizione proprio dall’indagato. La norma violata in definitiva sarebbe quella legata alla prevenzione degli infortuni sul lavoro. Del resto sempre il 47enne avrebbe specificatamente incaricato l’amico di svolgere quella precisa mansione sul furgone dietro pagamento. E sempre lui gli avrebbe fornito tre cric e la struttura di legno usata per posizionare il veicolo all’altezza giusta: attrezzature giudicate dagli inquirenti non conformi ai requisiti generali di sicurezza previsti dall’apposita legge. Da ultimo il 47enne si era allontanato da casa durante il lavoro lasciando solo il 36enne e dunque nell’impossibilità di chiedere aiuto alla bisogna.
Currò ha lasciato due figli e la compagna incinta. E proprio per aiutare la famiglia dell’amico, il 47enne aveva da subito lanciato una delle due raccolte fondi a sostegno del defunto (l’altra era stata promossa dalla compagna). Per l’accusato, il fine inchiesta ha rappresentato anche l’avviso di garanzia visto che non era mai stato formalmente indagato.
"Durante la fase processuale - ha precisato l’avvocato difensore Giovanna Cappello - ci sarà modo di dimostrare l’estraneità ai fatti del mio assistito il quale resta fortemente provato e dispiaciuto per quanto accaduto all’amico".