Ha trascorso gli anni dell’infanzia e della fanciullezza a due passi dal porto canale, quando ancora la Darsena di città, erano i primi anni Settanta, brulicava di mercantili e la sua fantasia alla sera galoppava nei grandi spazi aperti del mare, il cielo, la luna, le stelle che i marinai un tempo utilizzavano come guida. E così quando la maestra una mattina spiegò la geografia astronomica, in lui, Marco Garoni, la curiosità aumentò e ai genitori chiese un telescopio. Da allora Garoni di strada ne ha fatto, da oltre vent’anni è divulgatore del sapere astronomico, è appassionato fotografo di stelle e pianeti, è presidente dell’Associazione astrofili di Ravenna che a sua volta è parte attiva in un programma di ricerche internazionali sulle stelle variabili dell’Osservatorio di Asiago e da quindici anni dirige il Planetario che, sia detto per inciso, quando nel 1985 venne inaugurato era il terzo in Italia, mentre oggi, a testimonianza dell’importanza della divulgazione astronomica, sono duecento.
Garoni, quale è il pubblico del Planetario?
"Prima una necessaria premessa, il Planetario, il primo fu realizzato cento anni fa in Germania, non è uno strumento per osservare e questo non tutti lo sanno. Anzi a Ravenna molti non sanno neppure della nostra esistenza. Il Planetario è uno strumento di conoscenza che riproduce sul soffitto a cupola la volta celeste con le stelle, i pianeti… e così facendo permette di conoscere e comprendere il cielo. Il nostro pubblico è di due tipi: ci sono gli studenti, migliaia, pensi che prima del Covid si arrivava a 13-14mila all’anno e ora ci stiamo riavvicinando, e poi gli adulti interessati agli incontri scientifici".
Con la diffusione di internet è cambiato l’approccio?
"Abbiamo ampliato l’offerta, ma le richieste di visita delle scuole è rimasta sempre la stessa, a quell’età i ragazzini hanno ancora tanta curiosità, e ci sono anche tante richieste da parte delle famiglie. È evidente che oggi ciò che attira di più è l’evento e ci siamo adeguati. Ad esempio grande successo l’abbiamo avuto per la serie di iniziative spalmate su tutto il 2019, per i 50 anni dell’allunaggio, poi per i buchi neri…".
Oggi organizzare eventi vorrebbe dire anche ricorrere alla tecnologia avanzata, come siete messi?
"Il Planetario avrebbe senz’altro bisogno di strumenti all’avanguardia, ad esempio un planetario digitale…oggi si parla di metaverso, di realtà aumentata e con le disponibilità di immagini delle galassie più lontane, dei buchi neri e quant’altro, con nuovi strumenti potremmo metterci al passo coi tempi e organizzare eventi notevoli. I costi però sono altissimi, la nostra Associazione, l’Arar, non ha queste disponibilità…".
Se non sbaglio l’associazione Astrofili gestisce il Planetario sulla base di una convenzione col Comune…
"Infatti con il Comune c’è un discorso aperto sulla modernizzazione, ad esempio già sono arrivati due telescopi a puntamento automatico…Pensi che quando il Planetario fu inaugurato, nel 1985, la tecnologia era fornita dal motore elettrico e un buon libro!".
Dunque al Planetario non c’è solo il ‘cielo finto’!
"Certo che no. Dal terrazzo esterno nelle sere d’estate con i telescopi svolgiamo sedute di osservazione. E mica solo qui. Facciamo anche osservazione itinerante. Ad esempio in piazza Kennedy, in spiaggia, nel cortile della Classense… la gente si ferma incuriosita e si appassiona".
Riparleremo di tutto questo. Andiamo alla sua infanzia, alla sua famiglia.
"Il babbo, Franco, lavorava nella Compagnia Portuali, negli anni 60 aveva anche allenato la squadra di pallavolo, mentre la mamma, Zuzana, di mestiere ha fatto la cuoca e da tempo è in pensione. Come vede il cognome non è italiano, è di origine cecoslovacca…".
E come ha conosciuto suo padre?
"Al babbo piaceva viaggiare, andava spesso in Cecoslovacchia, ben prima della ‘Primavera di Praga’ avviata da Dubcek e della conseguente invasione sovietica. Lei faceva il tirocinio da cuoca nell’albergo in cui alloggiava il babbo e così lo conobbe. Con l’invasione però avevano perso i contatti, poi si sono incontrati di nuovo e nel ‘71 si sono sposati, a Praga. Nel ‘72 è venuta a Ravenna. E due anni dopo sono nato io".
Dove abitavate?
"Alla Darsena di città, vicino alla fabbrica dello zolfo dell’Almagià. Dietro casa nostra c’era il campo, in estate era pieno di lucciole e davanti c’erano le navi attraccate alla banchina. Giocavo in mezzo ai vagoni... Siamo rimasti lì fino al 1985 poi in Darsena è cambiato tutto e ci siamo trasferiti in via Landoni".
E l’interesse per l’astronomia come nasce?
"Era senz’altro dentro di me, forse la mia fantasia galoppava, i marinai, le stelle che erano la loro guida…non so, ma ho il preciso ricordo di una lezione di geografia astronomica che fece la maestra alle elementari di via Caorle. Avevo 10 anni e fu una rivelazione. Chiesi ai genitori di comperarmi un telescopio e dal terrazzo di casa cominciai a osservare la luna. E poi i pianeti. Giove e le sue bande… Si apriva un nuovo mondo, incredibile. E così finite le medie, in estate cominciai a lavorare per raccogliere denaro per un telescopio più potente: la campagna delle pesche e allo zuccherificio, l’aiutante bagnino…".
E riuscì nell’intento?
"Certo, il nuovo telescopio aveva lenti da dieci centimetri e ovviamente la mia curiosità aumentò, più si osserva più si vuole vedere e sapere… Finite le superiori, l’Agrario, che era ancora in via Ghiselli, mi iscrissi ad Astronomia a Bologna… intanto avevo cominciato a frequentare il Planetario, a dirigerlo era Franco Gàbici, e l’associazione Astrofili si riuniva lì tutti i giovedì sera. C’erano molti giovani, il cielo aveva una grande attrazione. Ricordo la spettacolare rievocazione per i vent’anni dello sbarco sulla Luna, nel 1989".
A proposito di osservazione celeste, quanto disturba l’inquinamento luminoso?
"Oggi proprio a causa delle illuminazioni, il cielo nella sua complessità non è più visibile, ma all’epoca, ancora a fine anni 80, i problemi erano minori, si vedeva bene la via Lattea. Oggi non è più possibile e per una buona osservazione occorrere andare all’osservatorio di monte Romano e ancor meglio sul Fumaiolo. Come Arar abbiamo un telescopio da 40 cm a San Zaccaria e ci permette di fare spettacolari fotografie perché ci sono filtri che eliminano l’inquinamento luminoso. Lavoriamo per l’osservatorio di Asiago sulle stelle variabili".
Immagino che la sua dotazione di telescopi sia aumentata…
"Ne ho cinque, fino a 20 cm di diametro. Mi affascinano lo strumento fisico e le sue potenzialità, oggi la fotografia digitale apre scenari fantastici, pensi a immagini della galassia di Andromeda, a due milioni e mezzo di anni luce…".
Quando l’interesse per l’astronomia si è trasformata in impegno professionale?
"Nel 2000 fui nominato presidente dell’associazione Astrofili e l’anno successivo si consolidò il rapporto professionale e avviai l’attività di divulgatore, la divulgazione del sapere scientifico e astronomico in particolare è il principale obiettivo di Arar. Tenni la prima conferenza il 13 settembre 2000, avevo 26 anni. Purtroppo la molteplicità degli impegni mi hanno impedito di dare gli ultimi tre-quattro esami all’Università, ma lo farò…".
Poi è arrivata la responsabilità del Planetario…
"Nel 2009, quando Gàbici andò in pensione, il Comune affidò ad Arar la gestione e io ne sono il responsabile, attorniato da un gruppo di volenterosi soci".