
Il blitz dei ladri acrobati Cinquant’anni fa rubarono 18 opere dalla Pinacoteca
di Carlo Raggi
Un colpo preparato da professionisti, ma realizzato da una gang di barbari": così la mattina del 25 febbraio del 1973, mezzo secolo fa, il Carlino titolava il servizio sul clamoroso furto di opere d’arte (il primo e unico, a Ravenna) messo a segno poche ore prima, la notte fra venerdì 23 e sabato 24, ai danni della Pinacoteca dell’Accademia di Belle Arti che dall’estate precedente avevano sede nei restaurati locali della Loggetta Lombardesca. Un’impresa ladresca che fece epoca, sia per il fatto in sé, sia per come, di lì a due giorni, un tempo record, la vicenda si concluse, con il recupero di tutte le opere trafugate, diciotto tavole lignee del XIV e XV secolo (parte preponderante della raccolta di ‘fondi oro’, unica in Italia per ricchezza, custodita nella Pinacoteca) e di una tela moderna, una ‘Laguna’ opera di Virgilio Guidi.
Un colpo evidentemente su commissione, ma eseguito, di qui il riferimento ai barbari, da maldestri personaggi che per togliere le cornici dalle tavole avevano addirittura utilizzato martello e scalpello tanto da scheggiare alcuni dei dipinti e avevano tagliato la tela lasciandone una parte, quella inferiore con la firma dell’autore attaccata alla cornice. Sul mercato, il valore commerciale delle opere trafugate si aggirava sui 400 milioni di lire, una somma che mezzo secolo fa era ben notevole. I ladri (probabilmente non più di due e addirittura non si può escludere che l’azione sia stata condotta da una sola persona, con una seconda rimasta a fare da palo sui tetti) agirono verosimilmente dopo l’1,30: il custode della Pinacoteca, Adolfo Barbieri, riferì infatti che a quell’ora aveva effettuato un giro di ispezione e che tutto era regolare. Per entrare, i ladri si erano fatti chiudere il venerdì sera all’interno della chiesa di Santa Maria in Porto, erano poi saliti a metà del campanile e da una finestra si erano calati sul tetto di una porzione posteriore della chiesa prospiciente uno dei muri dell’Accademia dove, ad altezza d’uomo, erano praticabili due finestre, pur protette da inferriate. Ferro dolce, che in breve tempo cedette alla sega a mano dei ladri, una sbarra segata ed ecco un varco di mezzo metro di lato. Un varco per uno ‘smilzo’.
Mandato poi in frantumi il vetro dell’infisso, fu semplice aprirlo azionando la maniglia. Da quel punto, la sala in cui erano esposte le tavole era a pochi metri. Furono scelte diciotto opere ‘fondo oro’ , con uno scalpello vennero tolte le cornici e quest’azione violenta provocò abrasioni e sfregi, poi l’azione si spostò dall’altra parte dell’edificio, alla sezione moderna dove fu maldestramente trafugata una ‘Laguna’ di Guidi. Infine la discesa a terra con la calata lungo il muro aggrappati a una corda legata a un rampino assicurato a un’inferriata. A scoprire la clamorosa incursione furono all’indomani mattina il custode Barbieri e uno dei sorveglianti di giorno, Franco Casali. Fra la costernazione del direttore dell’Accademia, Raffaele De Grada e del sindaco Aristide Canosani, i carabinieri di Ravenna e di Bologna si misero subito al lavoro e in poche ore trovarono il contatto giusto e nella notte fra la domenica e il lunedì lungo la Ravegnana, a Ghibullo, scattò la trappola.
Invano i carabinieri cercarono di fermare l’auto, una Mercedes con targa falsa Roma P 57629. E a Coccolia, a inseguimento appena iniziato, dalla vettura fu lanciato nel fosso un sacco, con la stampigliatura in tedesco di una fabbrica di prodotti chimici. Dentro la refurtiva, legata con un lungo spago, e un paio di guanti da lavoro. E’ questo particolare, un solo paio di guanti, che fa pensare che ad agire dentro alla Pinacoteca possa essere stato un solo uomo: l’uso dei guanti era indispensabile soprattutto per calarsi a terra appesi alla fune. Dell’auto in fuga, le cui tracce furono perse nel centro di Forlì, nulla più si seppe. Di lì a una settimana i carabinieri denunciarono per il furto, in concorso con altri, sconosciuti, un camionista di Alfonsine di 39 anni.
L’uomo era in carcere da pochi giorni a seguito di un ordine di cattura per aver ricettato oggetti d’arte rubati dall’abitazione di un professionista ravennate un mese prima e trovati a casa sua ad Alfonsine. Di lì a breve le indagini si chiusero senza che fosse possibile fare luce sui complici e, soprattutto, sul committente del furto. Le opere rubate tornarono nelle sale della Pinacoteca un mese dopo il furto, il 20 marzo 1973, restaurate nel laboratorio di Aurelio Morellato, docente all’Accademia, ma ancora non erano pronti i dispositivi di sicurezza, carenza che aveva reso facile il furto.
Sarebbe occorso ancora un discreto lasso di tempo prima che la Pinacoteca e le sue raccolte potessero essere salvaguardate dai sistemi di allarme e considerarsi sicure. L’elenco delle opere trafugate evidenzia l’importanza della collezione di ‘fondi oro’ di scuola senese, marchigiana, bolognese, ferrarese e romagnola custodita nella Pinacoteca ravennate. Si va da autori come Matteo di Giovanni, Nicolò da Foligno, Arcangelo di Cola, Taddeo di Bartolo, Paolo di Giovanni, Girolamo Marchesi e Francesco Zaganelli, entrambi di Cotignola, e altri a un ‘Martire’ di Marco Palmezzano che da solo quotava all’epoca 50 milioni di lire.