Le delocalizzazioni sono lo spettro che si aggira per la Romagna nel tempo incerto che la separa dall’approvazione del Piano speciale per la ricostruzione, il cui sì finale ha subìto l’altro ieri un rinvio. Ad oggi non esistono linee guida, mentre i nodi sono invece moltissimi, a partire dai 1800 euro a metro quadrato con cui verrebbe rimborsato chi deve delocalizzare – cifra giudicata dai sindaci inadeguata a fronte di edifici dal valore maggiore – fino all’incertezza che avvolge il destino di chi invece intende delocalizzare per propria scelta, e alla quasi impossibilità di trovare luoghi in cui ricostruire.
A capeggiare la fronda dei sindaci è Jader Dardi, navigatissimo primo cittadino di Modigliana, nel Forlivese, paese sfregiato da 6900 frane, con 400 edifici nelle loro prossimità. Il suo ’io non ci sto’ è ben circostanziato: "Per noi sindaci dell’Appennino, di qualunque parte politica, c’è una norma non scritta che precede tutte le altre: evitare lo spopolamento. La decisione di chi e cosa delocalizzare non può essere scaricata sui Comuni, a maggior ragione senza le risorse adeguate". Quante, e distribuite come? "In un paese con settemila frane, mi spiegate dove dovrei mandare a vivere la gente? Qualcuno pensa che qui ci siano luoghi privi di rischi idrogeologici in cui costruire? Esistono case vuote in centro storico, è vero, talmente appetibili che alcune sono addirittura state rifiutate quali eredità. Per tornare ad abitare lì serve un piano di edilizia pubblica analogo a quelli del Novecento, e ad oggi non vedo niente del genere".
Anche a Fontanelice, borgo protagonista di un video virale l’estate scorsa, il problema è il medesimo: "Gli edifici da delocalizzare stimiamo siano una decina in tutto l’Appennino imolese – spiega il sindaco Gabriele Meluzzi –. Pochi, all’apparenza, ma in realtà non esistono case o terreni pronti all’uso". Chi discenda il torrente Marzeno che da Modigliana fluisce verso Faenza, superando gli edifici dell’omonima frazione che ormai sorgono a picco sull’argine divorato dalla piena, potrebbe incontrare il sindaco Massimo Isola mentre studia come dare forma a un’area allagabile in zone agricole che il Comune dovrà acquistare per evitare ricorsi. "Perché le aree allagabili sono incompatibili con case e aziende agricole. Ma senza il Piano speciale e le ordinanze ad hoc non esistono finanziamenti, e senza questi non ha senso parlare di delocalizzazioni e di messa in sicurezza. È stato fatto un passo indietro clamoroso".
Più a valle il sindaco di Bagnacavallo Matteo Giacomoni lotta perché Traversara, l’epicentro della distruzione lasciata sul campo dalla terza alluvione, rimanga sulle mappe. "Le case che dovranno essere abbattute e non potranno essere ricostruire sono una quindicina: non è lo scenario apocalittico che qualcuno teme. Ciò nonostante, dobbiamo evidenziare due aspetti: il primo è che ad oggi non c’è una legge che impedisca a un proprietario di ricostruire la sua casa. Il secondo è che a Traversara non esistono aree classificate come edificabili, e neppure zone di proprietà comunale in cui ricostruire quindici abitazioni. Ma prima ancora voglio sia chiaro che si delocalizza se c’è un progetto di messa in sicurezza: se l’intenzione è allargare l’alveo del Lamone io dico sì, si tratta di un intervento prioritario. Ma altrimenti come spieghiamo ai cittadini che qualcuno dovrà delocalizzare e il suo vicino no?".