Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare di ‘Hikikomori’, termine giapponese che letteralmente significa ‘ragazzi in disparte’ e che viene utilizzato per indicare un fenomeno sempre più diffuso. Gli Hikikomori sono ragazzi che si chiudono in casa senza più avere una vita sociale e non riescono a staccarsi da internet; il loro ‘disagio’ è tale che l’unica possibilità di sopravvivenza sembra essere quella di allontanarsi dalla società e ‘scomparire’, ritirandosi completamente nella propria stanza. Nei casi più gravi possono decidere di non uscire dalla loro stanza per mesi o anni, interrompendo qualsiasi forma di comunicazione, l’unico strumento che consente loro di avere contatti con l’esterno è la tecnologia digitale. Da alcune letture effettuate in classe, abbiamo appreso che tra le cause dell’isolamento degli Hikikomori ci sono diversi fattori, non solo la dipendenza da internet, soprattutto la paura di essere giudicati, che li porta a isolarsi per non subire il giudizio degli altri. Molto spesso questi ragazzi, sicuramente più sensibili e fragili, non riescono a sopportare tutta una serie di pressioni che provengono dalla società di oggi: l’esigenza di prendere buoni voti a scuola, di avere una carriera di successo, di essere belli e alla moda. Tutto ciò provoca in loro ansia e paura del fallimento, portando di conseguenza all’isolamento sociale.
I primi segnali che si manifestano e che dovrebbero destare preoccupazione nei genitori sono le assenze scolastiche, la preferenza per le attività solitarie, l’auto-reclusione nella loro camera, l’inversione del ritmo sonno-veglia.
E la quarantena dovuta alla pandemia da Covid-19 ha accentuato in molti casi il fenomeno; perlomeno è quello che affermano alcuni psicologi, secondo i quali dopo il lockdown c’è stato un boom di richieste di aiuto e a fine pandemia ce ne sarà un altro altrettanto importante. Addirittura c’è un allarme per la sindrome Hikikomori nei bambini, alcuni dei quali al termine del lockdown preferivano continuare a stare in casa anziché uscire, attaccati alla ‘vita virtuale’ dei mesi precedenti.
Cercando informazioni sul fenomeno, ci siamo imbattuti in un articolo pubblicato su ‘Bolognatoday’ dello scorso dicembre, in cui si dice che ‘Bologna prepara il sistema d’allerta’: cioè ha messo in atto un programma di prevenzione attraverso i ‘Tavoli adolescenza’, per affrontare il problema dell’isolamento dei ragazzi durante il lockdown e attuare interventi per aiutare loro e le famiglie ad uscirne. Il punto di partenza è il monitoraggio delle assenze scolastiche prolungate, per cui si sottolinea l’importanza della collaborazione tra scuola, territorio e servizi sociali.
In conclusione e secondo il nostro modesto parere, questo fenomeno sta rovinando la vita di molti ragazzi, anche della nostra età; per noi è molto triste pensare che dei ragazzi di 13 anni si stiano perdendo un’età meravigliosa come l’adolescenza. Una grande responsabilità l’ha la società, che vuole che i ragazzi siano perfetti, imponendo ad esempio canoni di bellezza per noi insensati. Quindi vorremmo dire ai nostri coetanei di smettere di paragonarsi alle persone che si vedono sui social, perché tutti siamo belli a modo nostro, con i nostri pregi e difetti. Inoltre molto spesso la società considera questi ragazzi solo dei ‘drogati’ da telefono, senza sapere veramente da dove nasce questo disagio che poi si trasforma in dipendenza. Loro, anche se silenziosamente, cercano di chiedere aiuto, quindi in conclusione vanno aiutati e non solo giudicati.
Sara Cavina e Noemi Poli
Classe 3^ A
Scuola secondaria I grado ‘Oriani’ di Casola Valsenio