Ravenna, 17 novembre 2021 - Tra di loro c’è chi non ha saputo descrivere come fosse stato preparato il suo vaccino; chi ha detto di essersi rivolto a quel medico solo perché consigliato da un amico il quale si era occupato della prenotazione. E chi ancora ha ricordato che la fiala di Pfizer fosse stata appoggiata sul lettino, quando è invece notorio che il vaccino debba essere conservato in frigorifero. C’è chi infine ha detto di essersi risolta a fare il vaccino con lui perché, oltre a medico di base vaccinatore, è anche ginecologo: l’intenzione era insomma quella di sottoporsi pure a una visita approfondita, "cosa che non accade nei centri vaccinali generici".
C’è un filo rosso che lega gli ultimi cinque casi di sequestro preventivo d’urgenza di Green pass relativi a operatori sanitari vaccinati da Mauro Passarini: tutti si sono rifiutati di sottoporsi al prelievo di sangue per il test di ricerca degli anticorpi al virus "senza addurre giustificazioni ragionevoli". Tutti tranne uno, un infermiere: per il quale tuttavia l’esame ha dato esito negativo a ulteriore conferma della lettura accusatoria.
Gli altri Green pass sequestrati sono di una ostetrica, di due infermiere dell’ospedale e soprattutto di un medico del reparto Infettivi sempre dell’ospedale. Gli indizi fin qui raccolti – si legge nel decreto di sequestro – vanno verso una "mancanza della reale volontà di farsi vaccinare" con la conseguente intenzione di "rivolgersi a Passarini sapendo che era "disponibile a certificare la vaccinazione anche senza l’inoculazione della dose". Avrebbero insomma ottenuto il Green pass – con la mobilità lavorativa che ne consegue – perché, sempre secondo l’accusa, Passarini inseriva i dati sulla piattaforma ministeriale anche senza somministrare la dose.
Va ricordato che per i sanitari la vaccinazione è necessaria: non possono cioè lavorare semplicemente eseguendo i tamponi. Per la procura insomma c’era un "reale pericolo" legato al fatto che la disponibilità del certificato verde consentisse a "soggetti non vaccinati" la libertà di circolare su luoghi di lavoro a contatto con pazienti "compromessi nella salute". Una situazione che non solo rappresenta un aggravamento del reato sul punto contestato a Passarini, il falso. Ma che per i sanitari in questione potrebbe fare da anticamera a una contestazione in concorso con chi li ha vaccinati visto che avrebbero potuto "diffondere il contagio mettendo a repentaglio la salute pubblica".
L’elenco dei sanitari che si sono ritrovati con il Green pass sequestrato, vede anche una psichiatra e un oculista i cui nomi figurano nella prima ondata di 79 certificati: entrambi hanno declinato l’invito al prelievo in Ausl per determinare gli anticorpi. Uno dei due ha poi sostenuto di averlo fatto privatamente con esito positivo rimanendo quindi sorpreso quando ha capito che per riavere il Green pass, avrebbe dovuto sottoporsi al prelievo caldeggiato dalla magistratura: quello con l’Ausl.