
Giorgio Perlasca nel 1989 a casa di alcuni salvati. Sotto il figlio Franco
Giorgio Perlasca sarà ricordato per sempre come l’italiano che ha salvato più ebrei al tempo del nazismo, durante l’inverno del 1944-45 a Budapest. Il suo è un esempio per giovani e adulti, per tutti. Eppure la sua straordinaria storia è stata resa nota solo alla fine degli anni Ottanta, grazie ad alcune donne ebree ungheresi da lui aiutate che lo hanno cercato per ringraziarlo. Oggi, a parlarne è il figlio Franco che, con la Fondazione intitolata al padre, organizza 60-70 incontro all’anno, soprattutto nelle scuole, dalle classi terze delle medie alle quinte delle superiori. Oggi alle 18.30, è ospite dell’associazione culturale Tessere del Novecento, al Salone dei Mosaici di via IX Febbraio 1 a Ravenna (con a seguire cena al ristorante Valentino). Nella mattina di domani sarà poi al liceo scientifico Oriani. Durante gli incontri sarà proiettato il filmato ‘La storia maestra di vita. L’esempio di Giorgio Perlasca’ che contiene stralci dell’intervista rilasciata al museo dell’Olocausto di Washington, con il coordinamento storico-didattico di Piero Angela.
Perlasca, quante persone ha salvato suo padre?
"Difficile dirlo con esattezza, a quell’epoca non c’era una contabilità. Sappiamo solo i numeri dei salvacondotti rilasciati che non sono nominativi ma familiari. La stima è di 5.218 persone. Diede inoltre un contributo fondamentale per sventare lo sterminio nel ghetto di Budapest di 60mila ebrei".
Suo padre, arruolato nelle camicie nere, era andato volontario prima in Africa orientale e poi in Spagna dove per due anni e mezzo ha combattuto dalla parte dei falangisti e dei franchisti. Ma, tornato in Italia nel dicembre 1938, prese le distanze dal fascismo. Perché?
"Non si riconosceva in due prese di posizione. Anzitutto, l’alleanza con la Germania che era stata nemica durante la Grande Guerra e poi le leggi razziali e le discriminazioni. Così uscì dall’esercito, si spostò a Trieste nel 1940 e iniziò a commerciare carne dai Paesi dell’est. Alla fine del 1942 finì un Ungheria dove sviluppò la sua azione. Fu tra coloro che rimasero fedeli al re. La situazione precipitò alla fine della primavera del 1944".
Fu internato in un castello per diplomatici, poi utilizzò un salvacondotto del generale Franco per salvarsi all’ambasciata spagnola…
"Lì, fu nominato responsabile delle case protette dove venivano rinchiusi gli ebrei sotto la protezione della Spagna. L’1 dicembre, il capo della delegazione Sanz Briz fu trasferito in Svizzera e mio padre, temendo di veder naufragare l’impresa di salvare gli ebrei e farli sfuggire alle deportazioni, decise di spacciarsi per console di Spagna per una quarantina di giorni".
Una scelta molto coraggiosa di cui però non si è saputo nulla per quarant’anni. Come se lo spiega?
"Mio padre non ha mai rinnegato il suo passato, e dopo la guerra ha votato per il partito liberale, una formazione di destra moderata. Diciamo che la sua non era una posizione politicamente corretta. Ci furono diversi tentativi di far uscire la sua storia, il primo nel 1961 da parte del Resto del Carlino con un pezzo di Giuseppe Cerato che però non ebbe risonanza. Stessa sorte toccò a un articolo di Furio Colombo su La Stampa. La vicenda diventò nota solo nel 1990 grazie al libro di Enrico Deaglio e a una puntata di ‘Mixer’ di Giovanni Minoli".
Anche voi familiari siete rimasti all’oscuro fino al 1987, quando alcune ebree ungheresi riuscirono a rintracciare suo padre, reputato da molti un cittadino spagnolo di nome Jorge. Come l’ha presa a livello personale?
"Mi arrabbiai con mio padre. Per otto anni mi sono interrogato sul suo silenzio con noi familiari, poi a illuminarmi e a farmi persino apprezzare il suo gesto, è stato il racconto di uno dei salvati, il giornalista Pressburger. Secondo la leggenda ebraica dei 36 giusti, la storia non può essere raccontata dalla persona direttamente coinvolta ma da chi è stato salvato. Il ‘giusto’ è un eroe a tempo capace di tornare alla normalità della vita pensando di avere fatto solo il suo dovere. Ecco, mio padre, è stato inconsapevolmente un ‘giusto’ (fu insignito del premio dei giusti in Israele, poi gli fu intitolato un albero al museo di Gerusalemme e una foresta con 10mila alberi, uno per ogni ebreo salvato. E una lapide nel cortile della sinagoga di Budapest, Cossiga lo incontrò e insignì nel 1991 dell’onorificenza di Grand’ufficiale, ndr)".
Roberta Bezzi