
Gino, il bimbo in divisa: "Salvato dai canadesi, adottato dai ravennati". Ora la sua vita è un film
"Grazie ai miei genitori, devo a loro tutta la mia vita. Furono loro a salvarmi per la seconda volta", con queste parole ieri Gino Bragaglia Farneti ha salutato quelli che affollavano la Sala Muratori della Classense per la proiezione del film documentario ‘Gino, organizzata dall’Istituto storico della Resistenza. Il bambino in divisa’ che racconta la sua vita straordinaria. I ravennati Antonio e Rina Farneti lo accolsero infatti nel febbraio del 1945 al termine di un viaggio che dal Frosinate lo aveva portato in Romagna insieme ai soldati canadesi che lo avevano adottato nel loro reparto.
Nel maggio del 1944 Gino venne trovato da solo dai soldati nei boschi a sud di Frosinone. Aveva 5 anni, era notte e si era rifugiato nel cratere di una bomba. Non aveva più nessuno Gino e vagava per i boschi, poi quando faceva buio cercava un rifugio per dormire. Di quella notte ricorda il profumo che arrivava dal fuoco, profumo di cibo. "Il mio problema – racconta – è che avevo sempre fame, volevo mangiare, ma non c’era niente. Quella notte sentii un rumore e mi misi a spiare, vidi il fuoco, quegli uomini e poi sentivo il profumo. Volevo farmi notare, ma non sapevo come fare". Ululava, faceva il verso di un cane, per questo quando uno dei soldati si era avvicinato e lo aveva visto, era rimasto senza parole. "Ero spaventato – continua – perché non sapevo chi fossero, tedeschi, americani? Cosa ne sapevo io?". Quella notte i soldati del convoglio canadese presero Gino con loro, lo avvolsero in una coperta, gli diedero da mangiare e lo misero a dormire nella cuccetta di uno dei camion. "Era tutto nuovo – ricorda Bragaglia Farneti –, non ero mai salito su un camion e quello che mi scioccò più di tutto fu il cruscotto con le luci fosforescenti". Da quel momento per Gino inizia una nuova vita: per dieci mesi il convoglio canadese che portava munizioni al fronte, lo adotta, anche se è ovviamente vietato. "Era bello avere un bambino con noi, ci faceva sentire di più a casa" dirà uno dei soldati. È ‘Red’ Oliver Lloyd in particolare ad occuparsi del bambino e per prima cosa gli fa un bel bagno. Poi i soldati riescono a farsi ‘rimpicciolire’ una divisa da una donna incontrata durante il viaggio e così anche Gino ha la sua piccola divisa, da caporale. Durante i mesi in cui il convoglio risale l’Italia, Gino impara l’inglese, studia i numeri, l’alfabeto. Ogni giorno i soldati gli fanno lezione, ha regole ben precise da rispettare, ad esempio sull’igiene personale, e la sera prima di andare a dormire deve recitare le preghiere. Riescono a procurargli anche una biciclettina con la quale il bambino porta i messaggi da una parte all’altra del campo. Con loro festeggia anche il Natale, anzi lo scopre, perché non sapeva neanche cosa fosse. Poi nel febbraio del 1945 le truppe canadesi devono lasciare l’Italia, durante un’ispezione viene scoperta la presenza di Gino e viene intimato ai soldati di trovargli una sistemazione presso una famiglia italiana. Ed è a questo punto che entra in scena la famiglia ravennate Farneti, Antonio e Rina, entrambi impegnati nella Resistenza, sono fidanzati, ma lei appena vede Gino non ha dubbi. Così il bambino viene accolto a casa di lei che vive con i genitori. Quando poi si sposeranno, diventerà il loro primo figlio. I soldati canadesi prima di partire fanno una colletta e Gino va a scola. Oggi ha 85 anni è un ingegnere e vive a Manfredonia con la famiglia. Solamente pochi anni fa ha potuto conoscere la sua vera identità e la propria origine nel comune di Torrice, vicino Frosinone. La sua storia, ricostruita grazie all’Associazione di Bagnacavallo Wartime Friends, in particolare dall’insegnante Mariangela Rondinelli, era già stata nel 2014 al centro di un libro con lo stesso titolo del documentario. Ora le autorità canadesi hanno realizzato un documentario prodotto dal colonnello Tony Battista che ieri era a Ravenna.
Annamaria Corrado