Funerali pilotati, chiesti 51 rinvii a giudizio

Sedici le imprese funebri coinvolte nel racket del caro estinto, molte patteggeranno. Imputati anche cinque dipendenti Ausl .

Funerali pilotati, chiesti 51 rinvii a giudizio

L’intervento dei carabinieri negli obitori di Faenza e Lugo il giorno degli arresti (Foto Zani)

La Procura di Ravenna ha chiesto il rinvio a giudizio di 37 persone e – come persone giuridiche – per 16 imprese di onoranze funebri di Lugo e Faenza nell’ambito dell’inchiesta sul racket del caro estinto. Un’associazione per delinquere, secondo l’accusa, finalizzata alla corruzione e ad accaparrarsi i funerali di pazienti defunti. Altri reati contestati sono quelli di peculato e truffa, con udienza preliminare fissata il prossimo 21 febbraio. Tra i 37 imputati come persone fisiche, oltre a titolari e dipendenti delle imprese funebri, risultano anche cinque dipendenti Ausl, che erano addetti agli obitori dei due comuni. Molti di loro sceglieranno la strada del patteggiamento, sulla scia di quanto già accaduto in procedimenti analoghi, per esempio a Bologna. È stata invece stralciata la posizione di due impiegate del Comune di Castel Bolognese, accusate di avere fornito agli impresari dati anagrafici dei defunti per potere così organizzare l’attività. Sono parti offese le agenzia Aser e Zama, che non parteciparono al business e le cui denunce avevano dato il via alle indagini, e l’Ausl Romagna in ragione del coinvolgimento di dipendenti infedeli, uno dei quali era anche finito in carcere e gli altri agli arresti domiciliari.

Secondo le indagini della Procura, svolte tra gennaio e maggio 2020, esisteva un sodalizio tra alcuni addetti alle camere mortuarie e diverse imprese funebri. In particolare i primi, in cambio di danaro da parte delle seconde, per l’accusa avevano fornito servizi che esulavano dai loro compiti: vedi la preparazione e la vestizione delle salme usando peraltro mezzi del servizio sanitario nazionale. Inoltre, gli stessi segnalavano alle pompe funebri amiche le cosiddette salme libere, cioè per le quali i parenti non avevano ancora dato indicazioni. Erano sempre loro che si adoperavano per assegnare le camere ardenti migliori a loro vantaggio. E che facilitavano o meno gli ingressi in obitorio, assumendo atteggiamenti, definiti dagli inquirenti, di ostruzione verso quelle pompe funebri che non facevano parte della contestata associazione. Con questo sistema le imprese avrebbero risparmiato sui costi un buon 50-70%: per la vestizione dei defunti pagavano tra 30 e 60 euro invece di 120-140 euro. L’indagine aveva preso le mosse dalla segnalazione del titolare dell’impresa funebre Zama, il quale aveva capito che qualcosa non tornava. Vale a dire che addetti alla camera mortuaria acconsentivano a svolgere, dietro pagamento, le attività di vestizione e tanatocosmesi delle salme in luogo delle ditte.

Lorenzo Priviato