Non solo i maltrattamenti tra le pareti domestiche. Ma lui a un certo punto, per ripicca, un giorno avrebbe ucciso il gatto della moglie pronunciando poi questa frase: "Guarda cosa ti faccio al tuo amore quando non mi stai a sentire o non mi guardi". Il diretto interessato ha sempre negato tutto: ma per i fatti collocati dal 2021 a Roncalceci (la vicenda della bestiola è del primo marzo 2022), giovedì mattina il giudice giudice Cecilia Calandra ha condannato un 37enne di origine straniera imputato per uccisione di animale e maltrattamenti in famiglia, a 2 anni e 9 mesi di reclusione.
Il pm Raffaele Belvederi aveva chiesto 3 anni e 8 mesi. La difesa - avvocato Luca Berger - si è riservato di fare ricorso in appello non appena verranno depositate le motivazioni. Nel processo comparivano anche due parti civili: l’associazione Animal Protection, nell’occasione rappresentata dall’avvocato Barbara Liverani, e l’Enpa.
Secondo la ormai ex moglie dell’imputato - sentita in aula a fine aprile scorso -, lui, geloso e manesco, in quel giorno di marzo aveva improvvisamente canalizzato la sua rabbia verso il gatto randagio che lei aveva praticamente adottato dopo averlo recuperato a Cesenatico e a cui lei da qualche tempo dava da mangiare. L’animale si era evidentemente affezionato alla donna e ormai si fidava di lei e delle persone che le stavano accanto. E così lei quel giorno si era alzata per andare a dargli da mangiare. E’ in quel momento che l’uomo – prosegue l’accusa – si era arrabbiato non sentendosi adeguatamente preso in considerazione dalla consorte. "Vedi? Guardi più il gatto di me…", la frase che aveva fatto da incipit alla successiva azione. E a quel punto, dopo avere bloccato e afferrato con decisione la bestiola, l’avrebbe soffocata: cioè l’avrebbe tirata da una parte per la testa e dall’altra per le zampe posteriori fino a farla spirare. La donna ha raccontato di avere visto il gatto chiudere gli occhi; dopodiché il marito era sceso in giardino per scavare una buca. Per seppellirvi l’animale ormai esanime? Secondo la moglie sì, visto che da quel momento era scomparso. Un reato quello contestato all’imputato – ha fatto presente l’associazione animalista nel suo atto di costituzione di parte civile – "che arreca di per sé un grave pregiudizio a tutti i membri" in quanto si ha a che fare con "violazioni di norme che tutelano gli animali".
Quella di avere ucciso il micio, non era naturalmente l’unica accusa che ha contribuito alla pena finale: almeno secondo la donna, dal giugno 2021 al marzo 2022 lui l’avrebbe presa di mira con vessazioni sia fisiche che psicologiche. La gelosia lo spingeva a controllarle il cellulare, a proibirle di uscire di casa a setacciarle i profili social. I comportamenti maneschi si sarebbero manifestati anche alla vigilia delle nozze con minacce e pure con una manata in faccia. Alla fine lei aveva deciso di denunciare in questura. E su di lui era poi scattato il divieto di avvicinamento alla ex anche per via di quell’uccisione del gatto bollata dal giudice come "assurda ritorsione". Secondo la difesa invece, il gatto non era stato mai ucciso ma si era più probabilmente allontanato. Mentre delle vessazioni, specialmente di quelle fisiche, non c’era alcuna prova: né referti né testimoni.
a.col.