CARLO RAGGI
Cronaca

Dalla Libia a Ravenna Quando eravamo profughi

Cinquant’anni fa Gheddafi mandò via gli italiani e il ritorno per loro non fu facile. In città scoppiò la polemica: "Mandati qui per alterare la politica locale"

di Carlo Raggi

Tempo una settimana, dal 7 al 15 ottobre del 1970, la Libia del colonnello Gheddafi confiscò 40 mila ettari di terre, 1700 case, 500 attività commerciali di proprietà di italiani, in totale beni per 200 miliardi di lire e contemporaneamente intimò ai nostri connazionali che vivevano e lavoravano in Libia, moltissimi dei quali nati in quel Paese (dei 44 mila italiani residenti nel 1948 ne restavano ancora la metà) di andarsene.

Iniziò così un drammatico ‘ponte navale’ fra il porto di Tripoli e l’Italia, dove vennero anche allestiti vari campi profughi. Trentadue di quelle famiglie, un centinaio e passa di persone, raggiunsero la nostra provincia: ventiquattro fra Marina e Ravenna, le altre a Bagnacavallo, Cervia, Russi, Riolo Terme, Faenza. Considerando come si stavano mettendo le cose dopo il colpo di stato con cui nel 1969 Gheddafi aveva assunto il potere, diverse famiglie avevano già lasciato la Libia alcune settimane prima delle leggi promulgate il 21 luglio ‘70 con le quali i beni della comunità italiana (in Libia dagli inizi del secolo) venivano confiscati. La maggior parte degli oltre ventimila profughi era costituita da commercianti, artigiani, agricoltori, possidenti. Per molti non fu facile integrarsi in Italia, un Paese peraltro dalla stragrande maggioranza poco conosciuto e dove, dal punto di vista politico, in molte aree a più forte connotazione comunista, erano visti con sospetto in relazione alla genesi della presenza degli italiani in Libia: la politica di conquista coloniale dei primi del Novecento, poi l’azione aggressiva e sanguinosa del regime fascista. A tal proposito basti evidenziare come l’arrivo dei ‘libici’ a Ravenna, che non cercavano altro che ricostruire la propria vita, privata di ogni bene, con un lavoro, fu anche oggetto di un duro scontro polemico in consiglio comunale a causa dell’intervento di un consigliere del Pci il quale dapprima evidenziò che la crisi economica in atto rendeva impossibile dare loro accoglienza e lavoro e poi concluse adombrando il sospetto che fossero stati "mandati a Ravenna per alterare la realtà politica locale". Ad ogni profugo dalla Libia il governo italiano concesse un contributo di 500mila lire, l’ospitalità gratuita in albergo per 15-30 giorni, poi fu varata una legge che impose l’assunzione di un profugo in ogni azienda con più di 50 dipendenti. A livello ravennate ci furono anche ulteriori interventi della Prefettura e della Croce Rossa e il Comune mise a disposizione appartamenti a basso canone di affitto. Per 38 anni il 7 ottobre è stata una festività nazionale libica molto sentita. Gheddafi la chiamò la ‘Giornata della vendetta’ , ma nel 2008 divenne la ‘Giornata dell’amicizia’ per celebrare la rinnovata collaborazione con l’Italia di Berlusconi.